Alla Festa della Pace (2 giugno) il libro di Marco Severini sulla storia delle italiane
Intervista all'autore: "Ricostruzioni d'insieme sono tutte maschili e maschiliste, mancava una interamente dedicata alle donne"

Troviamo al telefono il professor Marco Severini (Università di Macerata), autore dell’intrigante “Storia delle italiane Dalla fine del Settecento ai giorni nostri” (1797 edizioni, 2025, pp. 368) mentre sta partendo per Teramo dove parlerà, presso la sede dell’Archivio di Stato, di questo suo libro che, lunedì 2 giugno, verrà a sua volta presentato, a Senigallia, all’interno della Festa della Pace.
Perché ha scritto questo libro?
Per due motivi. Innanzitutto, perché non c’era: le ricostruzioni d’insieme sono tutte maschili e maschiliste, mancava una interamente dedicate alle donne che rivisitasse il quadro generale e, insieme, scandagliasse piani e casi di studio particolari; non solo relativi alle donne importanti e celebri, ma anche a coloro che si sono ritagliate un posto importante nel cammino della civiltà. In secondo luogo, poiché dopo un quindicennio di studi sul campo – constatando che le ricerche di prima mano sono imitate da un numero crescente di “competitor” –, ho avvertito che era giunto il momento di sintetizzare, di presentare una ricostruzione d’insieme capace di contemperare e rileggere, dal punto di vista femminile, il periodo risorgimentale, l’età liberale, il ventennio dittatoriale e l’età repubblicana fino, appunto, ai giorni nostri.
Ho letto che la prossima settimana esce un’edizione pocket, la terza dopo quella grande e media. Perché tre versioni di uno stesso libro?
Perché i lettori dei libri di storia sono in aumento ma appartengono a età ed esigenze differenti: alcuni vogliono le note a piè di pagina e altri alla fine così da garantirsi una maggiore scorrevolezza nella lettura; taluni preferiscono un corpo medio e altri grande; qualcun altro predilige un formato classico, tipi 17×24, mentre non pochi optano per un formato tascabile. Le notevoli maestranze che l’Associazione di Storia Contemporanea ha raccolto attorno a sé in quindici anni consentono tre fattori essenziali per la circuitazione del libro: una diffusione capillare in tutta la penisola tramite un distributore nazionale tra i migliori che rifornisce qualsiasi libreria italiana nel giro di 2-3 giorni; la diffusione dei metadati dei libri, importantissima per la conoscenza di tutto ciò che ruota attorno a un libro; la pianificazione di presentazioni e incontri a stretto giro di posta. Pubblicare con 1797 edizioni conviene, sotto ogni punto di vista.
Da lombarda sono rimasta molto colpita dal ruolo che Milano e la Lombardia hanno giocato nella storia delle italiane. Però, ho scoperto tante altre vicende, dalla Calabria al Trentino, dal Friuli al Piemonte, dalla Toscana alla Campania fino alla Sicilia, attraversando in lungo e in largo la penisola, che meritano davvero di essere conosciute. Anche le Marche hanno giocato un ruolo di primo piano?
Milano era una città cosmopolita ed europea già alla fine del secolo dei Lumi da cui ho preso le mosse. Con una precedente ricerca, quando andavo a presentarla in una determinata regione, molti mi chiedevano del ruolo da essa avuto nel processo di modernizzazione. Viene naturale porre certe domande, ma non è questa la chiave di lettura cruciale: è più importante riannodare i diversi fili della trama che ha fatto fare un salto in avanti alle italiane, la trama dello stare insieme, del fare squadra, del realizzare strumenti concreti di lotta contro la civiltà maschilista e patriarcale. Quanto alle Marche sono una delle tante periferie di questa vicenda storica lunga 230 anni: eppure si sono segnalate all’attenzione nazionale, grazie alle marchigiane, non poche volte; mi è parso opportuno raccontare, contestualizzare e interpretare questi avvenimenti. Giulia Berna (e le altre nove proto elettrici), Elisa Comani, Alda Renzi, Adele Bei, Licia Rognini hanno lasciato una traccia profonda.
Alcuni paragrafi mi hanno sorpreso: da “Chicci per sempre” a “Night fever”.
La fiorentina Teresa Mattei, soprannominata Chicchi, è stata la più giovane delle 21 Madri costituenti, ha vissuto 92 anni ricchi ed emozionanti, con situazioni che oggi paiono sorprendenti. Eppure, non esiste un suo profilo nel “Dizionario biografico degli italiani”, mentre “L’Enciclopedia delle donne” ne propone uno così così, contenente pure l’errata indicazione del luogo di morte. Quanto alla discoteca, ha davvero rappresentato per diverse generazioni di italiane quel luogo di divertimento e di evasione da una società che non le capiva e costituisce, pertanto, un capitolo della loro storia, insieme alla lotta politica e sindacale, ai diversi femminismi, alle norme che hanno posto fine a discriminazioni allucinanti (il delitto d’onore, il matrimonio riparatore, lo “ius corrigendi”) al Sessantotto e agli anni Settanta, ai referendum e alla rivoluzione sessuale, al sessismo della lingua italiana e al nuovo diritto di famiglia, e così via.
A proposito, perché ha scelto come termine di partenza il 1795?
Perché nella penisola, politicamente frazionata e alla vigilia dell’invasione francese, donne appartenenti a città diverse hanno compiuto gesti capaci di anticipare quella tensione di libertà e di modernità che proveniva dall’altra parte delle Alpi. Il fatto che gli storici e le storiche non lo abbiano finora notato, non vuol dire che non fosse importante.
Mi ha sorpreso la presenza di pacifiste in ognuno dei secoli da lei analizzati.
La contestazione dell’idea tradizionale di donna, dedita alla cura, alla bellezza, alla casa e alla famiglia, è transitata anche proponendo prese di posizione forti e nuove, come quella contro la guerra, la cosa più inutile partorita dalla mente umana: non poche italiane hanno protestato con la parola e la penna contro le guerre coloniali della Sinistra storica di fine Ottocento; altre si sono fatte ricevere dai principali capi di governo delle nazioni coinvolte nella prima guerra mondiale per convincerli a porre immediatamente fine a quel conflitto; altre hanno sfruttato il clima asfittico e liberticida della dittatura fascista per leggere i grandi pensatori pacifisti ed elaborare le nuove forme di nonviolenza e resistenza civile; infine, in età repubblicana si è registrata una forte mobilitazione, anche se diversificata negli obiettivi, nelle modalità e nelle situazioni. Non capisco perché i manuali di storia continuino ad ignorare queste vicende.
Che giudizio dà degli ultimi due anni e mezzo in cui due donne in Italia, per la prima volta, hanno ricoperto il ruolo di premier e quello di leader del principale partito di opposizione?
Negativo: non sono state in grado di ascoltare e comprendere le reali aspettative della gente. Hanno preferito guardare e fare altro, cavalcando la propria dimensione mediatica. Le cronache continuano a parlare di inquietanti casi di femminicidio: nel primo anno di governo, Meloni ha tagliato del 70% i fondi stanziati dal governo Draghi per contrastare la violenza di genere. Intanto, il Paese peggiora di giorno in giorno, quasi sprofonda: gli insegnanti italiani erano fino al 2023, quanto a retribuzione, al penultimo posto nell’Unione europea, ora sono all’ultimo. Abbiamo i docenti più sottopagati d’Europa. Stessa cosa va detta per il Servizio sanitario nazionale che una volta era davvero un’eccellenza, mentre ora la sanità privata furoreggia. I cittadini dovrebbero domandarsi: perché il nuovo premier – uomo o donna che sia – non affronta subito, di petto, i macro-problemi che l’Italia si trascina dietro da tempo immemore? C’è poi una incredibile difficoltà nel selezionare i nuovi ceti dirigenti: anche qui sono stati compiuti – e continuano a compiersi – errori madornali, nella convinzione che “l’usato sicuro” sia preferibile al nuovo o allo sconosciuto. Mi correggo: alla nuova e alla sconosciuta che, magari non avrà una grande esperienza amministrativa o non sarà “amica di”, ma ha voglia di fare, di mettersi in gioco, di studiare i problemi, di portare aria nuova, di costruire reti efficaci contro il conformismo dilagante. In un Paese dominato dalle corporazioni e in cui un italiano su due non va più a votare, serve un nuovo spirito costituente e un’autentica rivoluzione culturale: cosa facile da dirsi ma difficile da realizzarsi, tanto più in una penisola che non ha mai conosciuto vere rivoluzioni. Insieme, però, si può fare. Preoccupano l’affievolirsi della partecipazione politica e dello spirito critico, la scomparsa del contraddittorio e i troppi silenzi degli amministratori.
Un’ultima domanda sul ventunesimo secolo e sulle trasformazioni recate. Cosa pensa complessivamente di questo primo venticinquennio del ventunesimo secolo?
È stato un frangente in continuo divenire: non si fa in tempo ad analizzare il significato, il lascito di un periodo che subito ne prorompe un altro foriero di novità e mutamenti. La globalizzazione e la digitalizzazione hanno cambiato quasi tutto. Le italiane hanno ancora tanto da fare per conseguire una parità effettiva, ma molto dipende solo da loro: se persisteranno nell’imitare i comportamenti peggiori di certo mondo maschile, continueranno a vivacchiare, accontentandosi di essere una parte dimentica e dimenticata della società consumistica e mediocratica e di ritagliarsi uno dei tanti – anonimi o visibili, poco importa -, spazi concessi dal maschilismo imperante; se invece daranno ascolto alle forze basiche, creative e per lo più giovanili che si muovono all’interno di una società plagiata dall’individualismo, dall’amichettismo e dal relativismo, sapranno organizzare qualcosa di nuovo e diverso dai recenti populismi e il futuro sarà nelle loro mani. La differenza è lampante: nel primo caso si consegna ad altri le prospettive del proprio avvenire, nel secondo si diventa protagoniste.
da Associazione di Storia Contemporanea
(realizzato dall’Ufficio Info di Milano)

























Per poter commentare l'articolo occorre essere registrati su Senigallia Notizie e autenticarsi con Nome utente e Password
Effettua l'accesso ... oppure Registrati!