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Alla Fondazione Arca prorogata fino all’8 agosto la mostra antologica di Fulvio Paci

Dal 12 agosto al via la mostra "The end", l'amore di tre artisti per la montagna

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L'artista Fulvio Paci

È stata prorogata fino all’8 agosto 2018 la mostra antologica di Fulvio Paci, allestita presso lo SpazioArte della Fondazione A.R.C.A. (via F.lli Bandiera, 29) dove sono esposte dodici incisioni e acrilici.

Nell’esposizione sono presenti alcuni acrilici in cui il pittore ha voluto sperimentare l’inserimento di oggetti nella composizione per creare degli effetti materici. Ciò è la rappresentazione del pensiero del pittore degli ultimi anni: la plastica che diventa decorazione e prende una certa forma.

Le dodici incisioni, che vanno dal 1973 al 2002, hanno per lo più soggetti figurativi: “Sole e amanti” e “Amanti e cavallo” e il periodo con gli “Amanti e cavallo a Urbino” dove appunto viene rappresentata la città sullo sfondo così come in “Eco di Ricordi”. La tecnica calcografica è in acquaforte-acquatinta a colori piuttosto che in bianco e nero, perché rispecchia meglio il mio modo di sentire e il mondo pittorico.

A seguire dal 12 agosto al 30 settembre la Fondazione A.R.C.A. inaugura una mostra, dedicata alle ricerche in bianco e nero, di due artisti emiliani, l’incisore Enzo Bellini e la pittrice Cristina Messora e del fotografo Alessandro Gagliardini dal titolo “The end”.

Nello SpazioArte esporranno tre poeti solitari che hanno qualcosa in comune, ossia l’amore per la montagna. La rappresentazione della natura e del paesaggio dei tre artisti ha una ispirazione sironiana. La fotografia di Gagliardini – che non riusciamo a conoscere interamente in questa occasione – ha un taglio cinematografico e i paesaggi urbani o naturali sono neri come il petrolio. La fotografia di Gagliardini è, del resto, l’incontro di diversi generi che ha assimilato, e a parte il cinema, ha rielaborato in uno stile personale.

L’artista vuole creare delle suggestioni forti per raccontare la solitudine dell’uomo contemporaneo. Non ci rimane allora che ritornare a vivere a contatto con la natura in ambienti lontani dalla civiltà industriale. È, invece, una scelta estrema per Cristina Messora dipingere la natura o la città in bianco e in nero. Tuttavia, ella predilige la rappresentazione della montagna dove ha trascorso la sua infanzia o lo spazio urbano in bicromia perché simboleggia la capacità di discernere.

La pittrice immagina la realtà, ma si propone rigorosi obiettivi tecnici perché il risultato finale porta l’osservatore in un altro spazio, ossia quello interiore e personale. Le acqueforti di Enzo Bellini sono il frutto della ricerca di uno spirito colto, difficile ed intellettuale che osserva i modelli del passato perché spinto dal desiderio di perfezione e di emulazione, perciò sperimenta diverse tecniche esistenti per raggiungere il risultato finale.

La vernice, che ricopre la lastra, non oppone nessuna resistenza alla punta d’acciaio. Bellini ha insistito nelle prove di stampa e ha tentato di raggiungere con il metallo risultati sempre più perfetti, riproducendo la matrice incisa col bulino o con la puntasecca, e adottando morsure multiple nella ricerca di nuovi effetti tonali.

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