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“Prima di sconfiggere la destra, dobbiamo cambiare noi stessi”

Andrea Nobili riflette sul ko del centrosinistra: "faccio ciò che in politica non si fa mai: dico ciò che penso"

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Nei giorni scorsi si e’ tenuta a Chiaravalle un’iniziativa, promossa dall’ex candidato presidente del centrosinistra, Matteo Ricci: avrebbe dovuto rappresentare l’avvio di un percorso di riflessione e di riscatto, dopo lo scioccante insuccesso elettorale nelle Marche.
 

Ma non e’ stato così.
 
La sconfitta, dolorosa e inequivocabile, non consente di eludere un’analisi seria — sociale e culturale — delle sue cause.
 
Non parlo di trarne le conseguenze, gesto ormai raro in politica, ma almeno di guardare in faccia la realtà. Cosa che molti esponenti dei partiti che componevano l’alleanza di centrosinistra faticano a fare.
 
Perché scaricare le colpe sugli elettori, sostenendo che “non ci hanno capito” o che si sarebbero lasciati attrarre dalle politiche assistenzialistiche della destra in un territorio “meridionalizzato” è una lettura comoda, ma, temo, superficiale.
 
I cittadini, invece, capiscono bene: capiscono quando la politica è distante, chiusa in sé stessa, autoreferenziale.
 
L’astensionismo crescente nasce anche da qui: da un campo politico che ha smarrito la capacità di dialogare, di ascoltare, di farsi vedere.
 
Nei mesi trascorsi facendo una campagna elettorale a perdifiato ho avuto conferma che la sconfitta del centrosinistra non è dell’oggi: abbiamo iniziato a perdere molto tempo addietro, quando si è smarrita la coerenza e si è preferito gestire l’esistente piuttosto che costruire il futuro.
 
Scelte politiche contraddittorie, rinunce di visione, linguaggi egoriferiti. È lì che abbiamo iniziato a smarrire la credibilità, anche presso quei mondi che ci erano sempre stati vicini.
 
È stato ingenuo pensare che si poteva invertire la rotta negli ultimi mesi prima delle elezioni, grazie all’intervento di un “deus ex machina”.
 
La fiducia persa non la si riconquista in una campagna elettorale, nonostante l’impegno dei candidati: la si ricostruisce, in tempi lunghi, stando dentro la società tutta, giorno per giorno.
 
E credere che basti un ruolo europeo a ricucire un legame logoro con le comunità marchigiane è illusorio.
 
Il rischio è quello di trasmettere l’immagine di una politica che vive di sé stessa, che si autocelebra mentre la realtà intorno cambia.
 
Voglio essere sincero e fare ciò che in politica non si fa quasi mai: dire quello che penso.
 
L’iniziativa di Chiaravalle, in cui Matteo Ricci ha annunciato di voler tornare a Bruxelles — scelta che non aiuta a consolidare il rapporto fiduciario con una comunità — mi è apparsa più come un esercizio di autoassoluzione che come l’occasione per iniziare un confronto autentico e collettivo.
 
Perché dopo una sconfitta di questa portata, serve altro: ascolto, analisi profonda e la disponibilità a ripartire da zero, se necessario.
 
Non voglio indulgere nel pessimismo, ma la metafora che mi viene in mente è amara: la casa brucia e una certa politica sembra convinta di potersi scaldare al tepore delle fiamme.
 
Il compito che ci attende è tutt’altro: ricostruire dalle macerie, con umiltà e determinazione.
 
Riannodare il filo con i territori, ascoltare chi non vota più, tornare a parlare un linguaggio comprensibile e credibile.
 
Potremo capire davvero cosa sta accadendo nella nostra regione e come rialzare la testa, anche in vista delle prossime sfide che ci attendono.
 
Per fare questo occorrono nuovi strumenti di ascolto e di partecipazione.
 
Serve discontinuità nel modo di essere e di fare politica.
 
Dobbiamo tornare tra le persone, costruire assemblee territoriali, laboratori di idee e un percorso permanente sui temi che contano: sanità, lavoro, sociale, ambiente.
 
Solo così potremo riconnetterci con chi ha scelto di non votare, recuperare fiducia e dare un senso nuovo all’impegno politico.
 
Perché, ne sono convinto, il dominio di questa destra non è un destino irreversibile.
 
Ma per cambiarlo, dobbiamo prima cambiare noi.
Commenti
Solo un commento
frulla_48
frulla_48 2025-10-11 12:09:29
Dici discontinuità....ma gli eletti sono sempre gli stessi che non si sono mai interessati della sanità e del sociale e i segretari di partito prendono meno voti degli eletti...non siete capaci di cambiare veramente; è per questo chi vi votava o si astiene o non vi vota più
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