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Caporalato nel settore agricolo, il parere di Libera sui casi avvenuti a Senigallia

"Se tolleriamo forme di ricatto sul lavoro, entriamo a pieno titolo nel territorio della mentalità mafiosa"

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Venire a conoscenza che ci sono esperienze di sfruttamento lavorativo a pochi passi da casa nostra può stupire qualcuno, perché si pensa che la vicenda di caporalato, portata alla luce dalle autorità competenti e dal commissariato di Senigallia, sia tipica solo di qualche parte remota del Paese. Oppure, visto che negli arresti compiuti l’altro giorno ci sono dei cittadini pakistani, si può pensare che il fenomeno ancora una volta non ci riguardi. Non è così. Perché i reati di sfruttamento, insieme alle cosiddette zone grigie che permettono di delinquere, sono dappertutto, anche dentro di noi. Se poi tolleriamo forme di ricatto sul lavoro, perché le consideriamo consuete, entriamo a pieno titolo nel territorio della mentalità mafiosa. L’argomentazione è: ringrazia che ti do lavoro, altrimenti trovo al posto tuo qualcuno che si accontenta. Il fatto poi che i “caporali”, in questo caso anche proprietari dell’azienda agricola, siano pakistani ci mette di fronte alla realtà della condizione dei lavoratori immigrati e alla domanda se la manodopera non fosse utilizzata anche per altre aziende.

Caporalato è lo sfruttamento dei lavoratori, spesso migranti di origine straniera, esercitato dai cosiddetti “caporali”, intermediari che reclutano e organizzano la mano d’opera per conto di imprenditori. Caporalato significa: paghe al di sotto delle tariffe stabilite dai contratti collettivi, orari di lavoro dilatati, riposi ridotti al minimo, nessuna misura di sicurezza, in alcuni casi un vero e proprio sequestro con il ritiro dei documenti di identità, riduzione in stato di schiavitù. E’ un ambito dell’economia mafiosa e, in particolare, della cosiddetta agromafia.

Il fenomeno non riguarda solo l’agricoltura, ma anche il settore turistico, l’allevamento, il facchinaggio, l’edilizia. Ci domandiamo: questa pratica che tutti condanniamo, non rischia a volte di essere prassi accettata? Serve un patto comune tra imprenditori, sindacati, società civile per eliminare quelle zone grigie che diventano terreno fertile per l’illegalità e lo sfruttamento. Serve, e lanciamo la proposta, un osservatorio con tutti gli attori coinvolti perché ciò che prevede la legge di contrasto al caporalato sia conosciuto, attuato e promosso. Non serve ricordare Falcone e Borsellino se non agiamo oggi.

Un’ultima considerazione sul passo positivo compiuto dal governo, sotto il profilo della tutela della salute e della lotta all’illegalità, inserendo la questione del lavoro stagionale nel Decreto Rilancio, adottato pochi giorni fa. Tuttavia non si tratta ancora di misure sufficienti, perché sono presenti limitazioni a determinate categorie, procedure non sempre semplificate e la breve durata dei permessi rendono evidenti la necessità di una svolta ancor più radicale. Il cammino è ancora lungo per giungere ad una piena tutela dei diritti di tutti i lavoratori.

Presidio Libera Senigallia
Pubblicato Domenica 24 maggio, 2020 
alle ore 16:07
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