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All’Arvultùra la presentazione di “Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie”

L'appuntamento è per venerdì 18 settembre alle ore 21.15

Sebben che siamo donne

Lo Spazio Comune Autogestito Arvultùra organizza per venerdì 18 settembre alle ore 21.15 la presentazione del libro “Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie” (di Paolo Staccioli, Ed, DeriveApprodi, 2015).  Sarà presente l’autrice P. STACCIOLI e una delle protagoniste del libro, SILVIA BARALDINI.

Questo libro è nato per dare un volto e un perché a una congiunzione. Nel commando c’era anche una donna, titolavano spesso i giornali qualche decennio fa. Anche.

Un mondo intero racchiuso in una parola. A sottolineare l’eccezionalità ed escludere la dignità di una scelta. Sia pure in negativo. Nel sentire comune una donna prende le armi per amore di un uomo, per cattive conoscenze. Mai per decisione autonoma. Al genere femminile spetta un ruolo rassicurante. In un’epoca in cui sembra difficile persino schierarsi “controcorrente”, le «streghe» delle quali si racconta nel libro emergono dal recente passato con la forza delle loro scelte.

Dieci militanti politiche (Elena Angeloni, Margherita Cagol, Annamaria Mantini, Barbara Azzaroni, Maria Antonietta Berna, Annamaria Ludmann, Laura Bartolini, Wilma Monaco, Maria Soledad Rosas, Diana Blefari Melazzi) che dagli anni Settanta all’inizio del nuovo millennio, in Italia, hanno impugnato le armi o effettuato azioni illegali all’interno di differenti organizzazioni e aree della sinistra rivoluzionaria, sacrificando la vita per il loro impegno. Non volevano essere eroine. Forse, avevano messo in conto la morte, come chiunque quando fa una scelta radicale. Dare e ricevere sofferenza. Non è semplice. Lo si fa perché si è convinti sia una necessità storica. Lo si fa per amore. Amore per la giustizia, per la libertà. Amore per la rivoluzione.
//www.sebbenchesiamodonne.it/

Chi è Silvia Baraldini:
Nata a Roma, 12 dicembre 1947, è un’attivista italiana, condannata negli Stati Uniti per “associazione sovversiva“. Ha fatto parte negli anni sessanta, settanta e ottanta negli Stati Uniti del movimento rivoluzionario Black Panther Party che combatteva per i diritti civili dei neri. Fu membro anche di un’associazione parallela al BPP, l'”Organizzazione 19 maggio”, legata al Black Liberation Army (BLA).

Nel 1983 è stata condannata a una pena cumulativa di 43 anni di carcere (di cui molti passati in isolamento e carceri di massima sicurezza) negli Stati Uniti per i reati di concorso in evasione, associazione sovversiva (comprendente anche due tentate rapine a cui non partecipò personalmente, e tramutata in associazione a delinquere per commettere cospirazione secondo la legge RICO, una legge nata in origine per colpire la mafia) e ingiuria al tribunale, per non aver fornito i nomi dei compagni. Dopo la condanna si sono sviluppati negli Stati Uniti e in Italia gruppi di appoggio che ritenevano la pena sproporzionata e persecutoria, in quanto la Baraldini non partecipò direttamente a fatti di sangue e ricordando che, nella legislazione italiana, tali reati – corrispondenti pressapoco ai reati di concorso in evasione e concorso morale in rapina e partecipazione ad associazione sovversiva – sarebbero puniti al massimo con una pena di circa 10 anni e senza carcere duro.

Il forte sostegno alla sua causa da parte dei partiti di sinistra e di organizzazioni umanitarie ha portato alla estradizione in Italia nel 1999. Secondo alcuni, tale concessione è stata una contropartita ottenuta dal governo D’Alema per l’appoggio alla guerra degli USA in Kosovo, secondo altri essa è da mettersi in collegamento alla Strage del Cermis, ma tali contropartite sono sempre state negate dalle parti. Dopo alcuni anni di arresti domiciliari Silvia Baraldini è stata scarcerata il 26 settembre 2006 per effetto dell’indulto. In totale ha scontato circa 23 anni di reclusione.

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