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Kalinka, kalinka, kalinka moja! Dalla Scuola del montaggio al Realismo Socialista

Introduzione alla storia del cinema: gli anni Venti e Trenta nel cinema sovietico

La corazzata Potemkin

Come si è giunti sino a qui? Chi ci ha preceduti? Cosa è stato fatto? Domande lecite, che chiunque di noi si è posto, o si porrà un giorno.

La fortuna dell’ essere umano, di gran lunga incrementata con l’arrivo di un’enciclopedia illimitata e irriproducibile (perché in continua ed incontrollata espansione) chiamata Internet, è l’opportunità di conoscere il proprio passato, le vicende, le invenzioni, e le invasioni di altre culture vissute e subite da qualsiasi forma d’arte o d’intrattenimento, filosofia, sport e ideologia politica. Praticamente da ogni insieme a cui apparteniamo, e da tutti i sottoinsiemi socio-culturali che lo compongono.

E’ per questo motivo, e per pochi altri, che si scrivono libri di storia (della società, dei media, dello sport, della musica, dell’arte, della cucina, del Pilates… sì, esistono libri che raccontano la nascita e lo sviluppo del metodo di allenamento fisico-mentale chiamato Contrología, inventato dal tedesco Joseph Hubertus Pilates) ed è per questo motivo che con meno pretese e più modestia sorgono siti amatoriali monografici, blog, o rubriche come quella che state leggendo, per cercare di intercettare l’appassionato, il curioso o l’uomo comune che ancora non sa di essere potenzialmente attratto dal mondo dell’apicultura biologica o da quello cinematografico. E si procede per pillole, con il contagocce impugnato da mano spesso tremolante (Ne son scese troppe? Troppo poche?), per la paura di eccedere o deficere in informazioni, e perdere quell’appassionato, quel curioso o quell’uomo comune.

Ho scelto di dedicare il mio tempo e lo spazio di questa rubrica per approfondire la Storia del Cinema aiutandomi con alcuni libri universitari fra cui Film History: An Introduction scritto dai due coniugi Kristin Thompson e David Bordwell (un volume di circa 600 pagine), consapevole del fatto che non tutti possano avere a propria disposizione il tempo necessario a leggere testi di tale portata, ma che molti fra questi avrebbero trovato i dieci minuti settimanali necessari a fruire di un articolo il più possibile esauriente ed esplicativo. E’ per questo motivo, che pur comprendendo la difficoltà degli argomenti trattati, l’estraneità dei soggetti ritratti dai film citati nei nostri due ultimi appuntamenti (La Genesi, e Le Avanguardie francesi e tedesche) e da quelli che lo saranno presto nei prossimi capitoli, vi prego di continuare a dare fiducia al Cinema e alla sua Storia, perché vi assicuro che terminato questo nostro percorso, vi sentirete spettatori più consapevoli, oltre che difesi e tutelati al momento della visione dalle conoscenze che avrete collezionato e dal gusto che avrete affinato o accresciuto. Ciò detto, vi invito a calzare Rubasca e Colbacco… stiamo per atterrare in Russia!

Il prima e il dopo della Rivoluzione d’Ottobre
Ci è sicuramente comodo utilizzare la Rivoluzione d’Ottobre (1917) come spartiacque nella storia del cinema russo; prima della fase finale e decisiva della rivoluzione russa infatti la responsabilità per il settore cinematografico e la sua credibilità erano affidate, come negli altri Paesi europei, agli intellettuali, scrittori e sceneggiatori importanti. L’entrata in guerra della Russia (1914) aveva determinato anche il blocco delle frontiere, favorendo naturalmente lo sviluppo dell’industria nazionale. I film prodotti in questo periodo, si distinguevano per i loro toni melanconici, i finali non a lieto fine e una recitazione misurata ed attenta alla psicologia del personaggio. Tra i principali autori ricordiamo Evgenij Bauer e Yakov Protazonov, i cui melodrammi erano trasposti da opere di Puškin e Tolstoj. Molto pochi erano i film di argomento politico. Dopo il ‘17 venne ideato un nuovo organo di controllo che si preoccupasse del settore cinematografico, era il Narkompros, il Commissariato popolare per l’istruzione. Fu per questo ente che Dziga Vertov, uno fra i più grandi documentaristi russi, curò il primo cinegiornale nel 1918. I due anni seguenti furono caratterizzati dalla scarsissima produzione di lungometraggi, a causa della difficoltà di reperimento della pellicola; la poca che si riusciva a rintracciare veniva utilizzata a scopi propagandistici, sfruttata quindi per i cinegiornali e gli agitki, cortometraggi con messaggi a favore del nuovo governo.

Fu sempre la Narkompros a fondare la Scuola statale di cinematografia, nella quale fra i professori era stato assunto il giovane Lev Kulešov, che diede vita ad un laboratorio creativo per registi ed attori. In questa sede, Kulešov, realizzò i suoi famosi esperimenti, elaborando quella nuova tecnica di montaggio meglio nota come “effetto Kulešov”. Ciò che cercò di spiegare il regista attraverso questi esperimenti fu che nel cinema l’interpretazione e la risposta dello spettatore sono influenzati e determinati molto più dal montaggio che dalla singola inquadratura.

Nel 1921, grazie alla Nuova Politica Economica (un sistema di riforme istituite da Lenin, in parte orientate al libero mercato, che durò fino al 1929) la pellicola tornò ad essere accessibile determinando la ripresa delle produzioni. L’anno seguente il presidente rilasciò la “proporzione di Lenin” la quale stabiliva che la programmazione cinematografica dovesse essere equamente distribuita fra istruzione ed intrattenimento. Questi era ben consapevole della forza del mezzo cinematografico nel penetrare le masse analfabete, fu infatti il suo più grande strumento di propaganda. Intanto nello stesso anno venne creata una compagnia, la Goskino, tesa ad organizzare l’industria cinematografica russa, monopolizzando la distribuzione e controllando importazioni ed esportazioni.

Il progetto fallì, ma gli va dato il merito di aver prodotto uno dei grandi film manifesto della famosa Scuola del Montaggio: La Corazzata Potemkin (1925) di Sergej M. Ėjzenštejn. La scena più famosa del film, momento culminante del quarto atto (l’intera opera è divisa in cinque atti, proprio come le tragedie di epoca classica) è La scalinata di Odessa. Numerosissime inquadrature brevi, costituite sopratutto da particolari, si succedono relazionandosi non per analogia ma per contrasto. Le inquadrature non sono legate secondo una logica narrativa alla Griffith, ma come interazione tra tesi ed antitesi. Il prodotto del loro accostamento dà vita infatti ad una sintesi, ad una terza grandezza diversa dalle due parti precedenti; questo terzo elemento non è altro che la comunicazione spesso aggressiva nei confronti dello spettatore di un significato altro da ciò che è meramente rappresentato dalle due inquadrature relazionate. Questo principio è quello che sta alla base del “Montaggio delle attrazioni” e a quello ben più complesso, e di difficile comprensione: il “Montaggio intellettuale”.

Come in Francia ed in Germania, anche in Russia non mancarono le sperimentazioni. Gli anni che seguirono la Rivoluzione videro la nascita del Cubo-futurismo, il cui principale scopo era attaccare tutte le tradizionali forme artistiche. Ben più interessante fu il Costruttivismo, corrente molto legata ai registi della scuola del montaggio. I principi su cui si fondava erano: l’arte con funzione sociale e non come oggetto di contemplazione, l’opera d’arte come “macchina”, puntando l’attenzione sull’assemblaggio delle parti, l’arte a scopo educativo e propagandistico, l’arte a servizio del comunismo, l’arte comprensibile a tutti.

La scuola sovietica del montaggio
I principali esponenti della Scuola sovietica del montaggio furono Ėjzenštejn, Kulešov, Pudovkin, Vertov e il gruppo del FEKS (Fabbrica dell’Attore Eccentrico). Altri autori, quelli provenienti dalle altre repubbliche, furono molto influenzati dalle sperimentazioni e dalle concezioni stilistiche del gruppo ed oltre a farsene profondamente influenzare, si impegnarono a svilupparle; tra questi ricordiamo Aleksandr Dovzenko.

I film d’avanguardia erano dedicati alla storia del movimento rivoluzionario; il loro fine era quello di iniettare nel pubblico la dottrina bolscevica. Oggetto di questi film erano spesso e volentieri scioperi, scontri, insurrezioni, non solo per il “potere” persuasivo che avevano sugli spettatori, ma anche perché gli autori stessi erano fortemente attratti nel filmare la fisicità degli attori. La recitazione poteva andare dall’estremo realismo alla massima stilizzazione. Per quanto riguarda il personaggio, non era interessante la sua essenza di individuo, ma la sua essere parte di un gruppo, di una classe sociale. Le azioni erano raccontate e mostrate attraverso inquadrature frammentate che non rispettavano la regola della continuità tanto sacra ad Hollywood, ritmi rapidi e accelerati.

Uno stesso oggetto, una stessa azione potevano essere mostrati da inquadrature diverse, e fra queste potevano essere montati (la cosa accadeva naturalmente molto di frequente nel montaggio delle attrazioni) degli inserti non diegetici, cioè non appartenenti al mondo rappresentato, che non evidenziavano legami spazio-temporali con gli eventi mostrati sino ad allora. In questo modo si costringeva lo spettatore a mettere attivamente in relazione ciò che vedeva traendone un concetto, una morale. Spesso e volentieri questi significati simbolici erano espressi attraverso l’utilizzo di effetti speciali (sovrimpressioni, split-screen); ma a veicolare particolari significati o stimolare sensazioni ed emozioni era anche la composizione delle singole inquadrature, per esempio si resero conto che inquadrando un individuo o un oggetto dal basso, stagliandolo magari contro un cielo bianco, questo appariva agli occhi del fruitore più eroico o minaccioso.

Sergej M. Ėjzenštejn
Il primo importante lungometraggio che inglobava in sé tutti i principi e le teorizzazioni del Montaggio delle attrazioni, fu Sciopero (1925), ambientato in fabbrica. La pellicola di Ėjzenštejn avrebbe dovuto far parte di un ciclo di otto opere intitolato “Verso la dittatura” (sottinteso “del proletariato”), un progetto cinematografico del Proletkult dedicata al movimento rivoluzionario in Russia. A questo film, oltre la già citata La corazzata Potemkin, ne seguirono altri due sempre dell’autore, realizzati con lo stesso stile: Ottobre (1927) e Il vecchio e il nuovo (1929).

Furono molti gli scritti di Ėjzenštejn sul montaggio, principio che egli riteneva presente anche nella poesia, nella pittura o nel teatro e che consisteva per lui in una collisione di elementi posti in conflitto gli uni con gli altri che avevano la funzione di spingere lo spettatore a creare un nuovo concetto. Quando a partire dal 1927 il governo iniziò ad accusare di eccessivo formalismo (quindi di difficile comprensione) le opere sperimentali di Ėjzenštejn e dei suoi colleghi della Scuola sovietica del montaggio questi lasciò la Russia per raggiungere Hollywood e poi il Messico ( A proposito della sua esperienza in Messico, consiglio vivamente di guardare Eisenstein in Guanajuato (2015), l’ennesima geniale opera di Peter Greenaway), e lì studiare le nuove possibilità offerte dal sonoro, innovazione accolta da lui e dagli altri autori a lui vicini, come un mezzo per creare contrapposizioni che colpissero lo spettatore. Tornò in patria solo nel 1932; appena due anni prima, in Russia, il cinema era stato inquadrato in una società unica, la Sojuzkino, dal primo piano quinquennale, con lo scopo di renderla un’industria più efficiente ed autonoma.

Le sperimentazioni delle avanguardie non erano più ben accolte, ora a determinare precisi principi estetici relativi alle arti era il Realismo Socialista che comportava l’obbligo per artisti, scrittori e cineasti di mettere le loro opere al servizio del partito comunista e dei suoi obbiettivi. Ėjzenštejn e gli altri autori della Scuola sovietica del montaggio furono screditati e costretti ad ammettere i propri errori riguardo all’accusa di formalismo. Riottenne una posizione di prestigio solo nel 1938 quando realizzò un’opera di ricostruzione storica e di propaganda antinazista in chiave epica, che si inseriva perfettamente nella dottrina del Realismo Socialista: Aleksandr Nevskij. La colonna sonora fu appositamente composta da Prokof’ev. In questo film Ėjzenštejn, riuscì ad inserire qualche elemento caratteristico delle vecchie sperimentazioni degli anni Venti. Tra i generi di maggior successo del Realismo Socialista vi fu proprio quello Biografico. Spesso i protagonisti erano figure celebri della Rivoluzione e della guerra civile ma anche personaggi importanti dell’epoca prerivoluzionaria, zar inclusi. Fu per questo motivo che durante la Seconda guerra mondiale, quando i lungometraggi di fiction bellica cominciarono ad avere notevole successo, Ėjzenštejn dedicò un’opera alla figura di Ivan il Terribile, con cui Stalin amava identificarsi. Quest’ultimo purtroppo condannò la seconda parte del film chiamata “La congiura dei Boiardi” che rimase inedita fino al 1958, ritenendo che dalla rappresentazione lo zar apparisse incerto nelle sue scelte progressiste.

Gli altri autori della Scuola sovietica del Montaggio
Mentre per Kulešov, il più conservatore fra i teorici del gruppo, il montaggio era funzionale alla chiarezza narrativa e all’impatto emozionale dell’opera, per Pudovkin, suo allievo e da questi profondamente influenzato, il montaggio era identificato come una costruzione narrativa dinamica e discontinua, elemento coordinatore d’un grande affresco epico. Famosa è la sua trilogia che ha per motivo dominante la presa di coscienza e comprende: La madre (1926), La fine di San Pietroburgo (1927) e Tempeste sull’Asia (1928).

Vertov invece fu tra i più radicali autori della Scuola, sostenendo l’assoluta utilità sociale del documentario, contrapponendola alla “cine-nicotina” dei film di finzione, che non avevano, secondo lui, alcun effetto formativo o culturale, ma solo la colpa di offuscare la coscienza sociale e politica del pubblico. Il suo lavoro, la sua analisi, le sue sperimentazioni erano al servizio della ricerca di un linguaggio nuovo che rompesse con il passato e con le altre forme d’arte che Vertov giudica deleterie per il popolo, quali la letteratura e il teatro.Tutte le sue concezioni, il suo genio, e i suoi assunti, si riassumono in quella che è la sua opera più famosa: L’uomo con la macchina da presa (1929)

Giulia Betti
Pubblicato Domenica 17 aprile, 2016 
alle ore 12:10
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