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Intervista ad Emilio Mandarino, il “cinematografaro” di Cinecitta’

Introduzione al mondo del Cinema Indipendente Italiano attraverso la storia di uno storico esponente

Emilio Mandarino

Oggi Screenshot vi introduce nel mondo del Cinema Indipendente Italiano attraverso la voce e la storia personale di uno storico esponente.

Come Emilio Mandarino vive il Cinema Indipendente?

Devo premettere che fin da bambino mio padre mi portava nei cinema del mio quartiere a vedere film di ogni genere. Abitavo in quella zona di Roma denominata Cinecittà proprio perché ubicata in prossimità degli stabilimenti cinematografici omonimi e spesso mi capitava di incontrare delle troupe cinematografiche al lavoro in esterni, così mi soffermavo a guardare ed ero capace di restare lì per ore ed ore per cercare di capire come si costruisse un film. La passione iniziò a possedermi così prepotentemente che iniziai a studiare cinema. Poi, intorno ai dodici anni, venuto in possesso di una cinepresa da otto millimetri molto rudimentale, volli cominciare a fare film anche io. Da allora ad oggi è trascorso circa mezzo secolo ed io continuo a fare Cinema Indipendente. Certo, inizialmente, si è indipendenti per forza di cose. Innanzitutto perché ciò che produci lo produci da te e quindi sei libero nelle tue scelte e, come si dice: “te la canti e te la suoni ”. Ma poi, l’indipendenza diviene una scelta di vita e di stile, di pensiero e di azione.

Cinquant’anni di cinema sono tantissimi, lei ha avuto l’onore di vivere la vera stravolgente rapida evoluzione del cinematografo, delle sue correnti, dei suoi alti e bassi. Cosa è cambiato nel corso del tempo nel suo cinema?

Nel tempo sono mutate molte cose, sia sotto il profilo tecnologico sia sotto quello produttivo. Sono state elaborate nuove modalità espressive, nuovi codici di linguaggio e tecniche di drammatizzazione, al servizio della messa in scena ed io, seppure resti profondamente legato a, ed animato da, quello spirito di indipendenza originario sono alla continua ricerca del modo più efficace per concretizzare le mie idee, anche sfruttando le caratteristiche tecnologiche dei mezzi di ripresa e di editing. Sono convinto che anche usando gli stessi mezzi usati dal cinema “commerciale” puoi fare Cinema Indipendente perché il mezzo è solo un mezzo e, come il famoso coltello citato da David Mamet nelle lezioni sul cinema, il suo uso può variare a seconda delle intenzioni di chi lo impugna.

Perché un cineasta indipendente fa fatica a varcare i cancelli della grande Fabbrica del Cinema?

Il punctum dolens della produzione indipendente è stato sempre la diffusione, quindi la distribuzione, ma oggi, seppure rimanga difficoltosa, almeno ha dalla sua quel meraviglioso e democratico strumento di comunicazione che è il web che consente di distribuire, sia in modalità “free” sia “on demand”, i film indipendenti in maniera realmente indipendente, o comunque consente di proporli ad un pubblico eterogeneo e dislocato in un ambito che non ha confini geografici e con una accessibilità senza precedenti.

Ha mai avuto contatti con il Cinema delle grandi Distribuzioni?

Da giovane ho più volte cercato di affacciarmi al mondo del cinema “maggiore”, proponendo soggetti, script ed entrando in contatto con produzioni e distribuzioni, ma le mie esperienze sono state deludenti poiché i compromessi proposti erano, almeno per me, inaccettabili. Forse ero troppo idealista, ma non me la sono sentita di uccidere il mio sogno cinematografico in cambio di qualcosa che non valeva quel sacrificio. Così, giunto ad un certo punto decisi di smettere di correre dietro a cialtroni e speculatori e di continuare a fare il cinema come volevo io, da indipendente, per mostrare quello che la mia fantasia mi proponeva. Raccolsi altri appassionati, una cinepresa otto millimetri, qualche lampada ed un cavalletto di fortuna e fondammo, dapprima, il “Cineclub Ars Nova”, poi nel tempo il “Gruppo L’idea” col quale passammo alla pellicola Super 8, quindi negli anni ottanta passammo al video per forza di cose, creando il laboratorio “La Bottega della Luce”, infine ci costituimmo in Associazione Culturale Audiovisiva, dapprima col nome di GOOD LUCK MOVIE, in seguito e definitivamente denominata “GOOD LUCK 99 CINEMA” con regolare Statuto e registrazione, che è tuttora operante e da me presieduta.

Le sue parole mi hanno ricordato un bellissimo e non troppo vecchio film chiamato Nuovo Cinema Paradiso…. la differenza sta nel finale, il protagonista ha abbandonato la sua Sicilia arretrata per una Roma cinematograficamente all’avanguardia ed ha raggiunto il successo lasciando trapelare però uno straziante risentimento nei confronti di quell’abbandono drastico forse ingiusto nei confronti della sua terra…. io ho sempre vissuto quel finale come una metafora…. che poi magari non centra nulla con ciò che voleva trasmetterci Tornatore… personalmente ho sempre creduto che quella fuga dalla terra madre verso il “progresso” stesse a significare che per raggiungere la notorietà bisogna abbandonare le proprie radici, intese anche come radici ideologiche e creative, le proprie idee di cinema autentico senza corruzioni e cedere al compromesso di un industria ahimè avida e infetta da un virus potente chiamato Denaro, il quale ha trasformato il cinema in una multinazionale che si occupa di produzione in serie piuttosto che di perle d’artigianato come soleva fare un tempo. Lei ai miei occhi appare come quel bambino innamorato di cinema che ha preferito gli ideali al successo ed è rimasto in Sicilia.

Hai colto nel segno facendo riferimento a Nuovo Cinema Paradiso che è proprio il film che meglio descrive il mio percorso cinematografico. Quel film mi ha commosso profondamente quando l’ho visto perché anche io da bambino, frequentando l’oratorio parrocchiale, ebbi modo di scoprire che, accanto all’uscio della cabina di proiezione del cinemino “dei preti”, in un contenitore venivano gettati spezzoni di pellicola danneggiata o tagliata dall’operatore a vario titolo e così iniziai a raccoglierli e portarli a casa. Li rifilavo per bene e li giuntavo tra loro con il nastro adesivo. Ero affascinato dalla magia di quelle immagini che da sole sembravano fisse, ma che in sequenza, una volta proiettate scorrevano sullo schermo trasformandosi in movimenti, suoni e luci. Nel tempo il mio rullo si era andato componendo di pezzi di western ai quali, magari seguivano fotogrammi di cartoni, di film peplum o di cappa e spada, oppure di commedie. Un misto di immagini in bianconero e colore, di quel meraviglioso e pittorico Technicolor, senza il quale il verde delle praterie texane non le avrebbe rese così sconfinate ed affascinanti ed il fuoco delle frecce indiane non avrebbe incendiato Fort Apache così drammaticamente, oppure il porpora del mantello non avrebbe reso i tre moschettieri così invincibili. Un mélange così eterogeneo che mi faceva correre con la fantasia a comporre storie in cui Biancaneve veniva rapita dai pellerossa e poi liberata da D’Artagnan, ma alla fine incontrava Tarzan e fuggiva con lui a vivere nella foresta. Mio padre mi regalò un proiettore a manovella, all’età di dieci anni, col quale proiettavo in casa dei film che erano solo spezzoni tratti da pellicole commerciali che acquistavo alla Standa, però erano in 35 millimetri, la stessa pellicola proiettata nei cinema e l’effetto sul muro bianco della mia stanza era spettacolare. Il proiettore era muto, ma io inventavo i dialoghi sul momento, cambiando voce a seconda del personaggio e mi facevo anche le musiche, sempre a bocca, naturalmente.

E’ triste pensare che non ci sia più poesia nell’infanzia di oggi… oggi le storie più avvincenti non riescono ad affascinare il bambino più predisposto perché abituato alla immediatezza di un videogioco e alle tinte fluorescenti del nuovo cartoon televisivo… sembra poca cosa, ma a mio avviso non è altro che l’inizio di una fine imminente. Umilmente mi prendo gioco delle mie turbe convincendomi che presto arriverà una Rivoluzione, che a me piace chiamare Estetica….. una Rivoluzione Estetica, che coinvolgerà le arti, la filosofia, le lettere, la musica e naturalmente il Cinema…. una rivoluzione a suon di opere… di progetti ambiziosi, di voci gentili e vincenti…. una rivoluzione che significa Rinascita. L’Italia di oggi è Desolata più della terra di T. S Eliot…. vive in bilico tra le macerie di un passato glorioso troppo poco salvaguardato e il fetore delle discariche… che altro non sono che la corretta rappresentazione di un presente corrotto e sudicio. Il mio sogno sarebbe quello di risvegliare negli animi il desiderio che un tempo alimentava i grandi geni del passato…. la verità è che non si è più sognatori, forse… si è visto troppo… tutto…. e non si ha più immaginazione.

Giulia Betti
Pubblicato Domenica 29 marzo, 2015 
alle ore 14:04
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Commenti
Solo un commento
Stefano Jacurti
Stefano Jacurti 2015-03-30 00:02:58
Bellissima ed intensa intervista!
ATTENZIONE!
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