Anche Scuola di Pace di Senigallia ad “Altra Cernobbio” per dire che guerra fa male a tutti
Grazie a Sbilanciamoci e Rete italiana pace e disarmo, il variegato mondo pacifista è stato convocato sulle rive del Lago di Como

Succede un po’ come per il Lario, si biforca alla sua base in due, i famosi rami del lago di Como, quello del manzoniano ‘a mezzogiorno’ e l’altro.
C’è la Cernobbio delle prime pagine e l’ “Altra Cernobbio”, organizzata per la quindicesima volta proprio mentre a Villa d’Este, poco più in là, si ritrovano i big dei tanti ambiti del vivere contemporaneo. Per la verità anche questa si trova nello stesso ‘ramo’, ma con voci ed approcci lontani, se non diametralmente opposti a quelli che meritano il racconto della grande stampa.
Addio alle armi è il titolo di questa edizione, svoltasi il 5 e 6 settembre scorsi, ‘contro il riarmo in Italia e in Europa.Per un’economia civile e disarmata’ che ha radunato oltre duecento persone da tutta Italia, esponenti del variegato mondo pacifista (presente anche una delegazione della Scuola di pace di Senigallia), economisti, giornaliste, giuriste, politici, sindacalisti, studiose. Tante voci per dire che la guerra è tanto più, e già questo basta e avanza per odiarla, di morte, distruzioni e ferite. La guerra preparata ed esercitata plasma il mondo, o meglio, i mondi. La guerra è potente nell’erodere la democrazia, in nome della sicurezza armata ci si abitua alla contrazione continua, subdola e costante delle nostre libertà. Sposta soldi, condiziona pesantemente economia, finanza, politiche industriali, investimenti, occupazione, saperi, ricerca. La guerra fa aumentare il debito pubblico, il carico fiscale, toglie soldi alla sanità, all’istruzione, alla tutela dell’ambiente, al lavoro. Una voce, al di sopra di ogni sospetto, quella del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si leva a conclusione della Cernobbio più famosa, quasi un’eco più sfumata alle valutazioni del mondo pacifista: “Sui conti pubblici – dice il ministro – si è aggiunta una nuova variabile, imponderabile e detestabile, che è quella dell’escalation della guerra in Ucraina e le decisioni di incrementare le spese per la Difesa. Per il nostro Paese è un fatto nuovo che implica una diversa proiezione sui conti pubblici. È un elemento su cui dobbiamo confrontarci, speriamo che questo non comprometta gli obiettivi che ci siamo fissati in termini di politica economica o politici in senso lato”. Speriamo!
Eccola l’obiezione, sempre in agguato: sono approcci di parte! E lo sono, nessuno lo nega e lo nasconde, i loghi dei promotori, Sbilanciamoci e Rete italiana pace e disarmo, sono ben in vista sui programmi stampati e diffusi on-line, parlano chiaro. Le sessioni, però, fuggono come la peste le categorie prefabbricate dalle appartenenze, la narrazione ‘anti’ che, come ogni semplificazione o slogan, rassicura e evita la fatica di approfondire e pensare. Si ragiona molto in questa ‘Altra Cernobbio’, si portano cifre, dati, studi, analisi. Si ha il coraggio di ammettere il rischio della spocchiosa autoreferenzialità e si invoca, quasi come un mantra, il dato di realtà quale punto di partenza, perché ‘la realtà supera l’idea’ (giusto per ricordare papa Francesco, più volte evocato nelle diverse sessioni). Quella realtà, articolata, complicata, poliedrica (… ancora Bergoglio!) in cui si incrociano interessi, esigenze, paure, diverse e uguali, tutte meritevoli di essere ascoltate e accolte, non per una questione di neutrale equidistanza ma anzitutto per pensare e praticare un pacifismo, in ogni sua accezione, fortemente legato alla vita concreta, al quotidiano delle persone; in poche parole, incarnato, per usare una categoria teologica.
Armiamoci e partite, è il leitmotiv ad ogni latitudine. O meglio, continuiamo ad armarci perché a quanto pare non abbiamo mai smesso di farlo. Semmai, oggi, c’è un’accelerazione che moltiplica gli zeri (sono da brividi le cifre mondiali attuali dell’industria bellica, 2718 miliardi di dollari nel 2024), la tecnologia digitale fa la sua parte e cambia i connotati delle mattanze, il welfare della ‘civile’ Europa si trasforma in ‘warfare’ in una quasi inesorabile militarizzazione della società, in ogni sua articolazione. Persino le aziende industriali in crisi, si dice, potrebbero godere di nuova, florida vita e la riconversione bellica di tanti marchi europei assicurerebbe stabilità ad un mercato del lavoro sempre più precario. Peccato che non sia vero, peccato che il giro di miliardi di dollari legato agli armamenti nutre quasi esclusivamente portafogli insospettabili. Il riarmo, oggi, è anzitutto un riarmo finanziario: la grande finanza internazionale è proprietaria dell’industria armata, vive di bolle di espansione di cui ha un disperato bisogno e oggi – come nel passato ad esempio è stata quella degli idrocarburi, o quella immobiliare – la bolla gonfiata dalle guerre è più che promettente e gode di ottima salute. Case, bombe, petrolio… per loro pari sono. Non è che siano cattivi, è semplicemente una questione di sopravvivenza. Non è nemmeno colpa loro se i fondamentalismi di vario colore non passano mai di moda, gli imperialismi cambiano look ma quello rimangono o se più di un utile idiota siede ai vertici di poteri e alleanze. Loro si limitano ad approfittare, il lavoro sporco lo fanno altri… cercate altrove i colpevoli, dicono quando e se sono smascherati. E questa narrazione, drammaticamente, funziona.
Da Cernobbio, sempre l’altra, abbiamo anche un’altra notizia: il pacifismo italiano e non solo, studia e propone! In pochi se n’erano accorti, troppo impegnati tutti ad ascoltare i fabbricanti, oltre che di armi e paure, di disperazione e disincanto. Le ‘anime belle’, l’epiteto più in voga per descrivere chi osa sguardi diversi, sono tutt’altro che poveri illusi. Vanno oltre il sentito dire, cercano di vincere la tentazione ideologica (sconfitta dalla storia e sostanzialmente inutile) per proporre e dialogare con la politica, via obbligata e insostituibile di ogni scelta comunitaria seria, mobilitano la società civile e vogliono fare rete con chi non si rassegna ad un mondo così abbruttito. Guardare in faccia la guerra è vedere il volto straziato di ogni vittima innocente, una per una, ovunque essa sia e credere fortemente che tutto questo dolore sia evitabile.
“Parole astratte come gloria, onore, coraggio o dedizione erano oscene accanto ai nomi concreti dei villaggi, ai numeri delle strade, ai nomi dei fiumi, ai numeri dei reggimenti e alle date”. Ernest Hemingway, ‘Addio alle armi’.

























1934: Hitler tenta per la prima volta l'annessione dell'Austria. Il guerrafondaio Mussolini gli manda 4 divisioni al Brennero e H. se ne torna a casina sua.
1936: H. decide l'occupazione e rimilitarizzazione della Renania. Albert Speer, che era sul treno con lui, testimonia che se la stava facendo sotto perché se la Gran Bretagna o la Francia avessero messo in atto una minaccia di rappresaglia credibile, la sua carriera sarebbe finita lì. Ma F e GB non hanno voglia di guerra, il pacifismo la vince e H occupa la Renania senza colpo ferire. Ora, è forse il caso di ricordare che Renania vuol dire Ruhr, Rurh vuol dire industria pesante, industria pesante vuol dire armi: il riarmo della Germania è partito da lì, da quella vittoria del pacifismo.
1938: H occupa l'Austria, e stavolta nessuno si muove, poi occupa mezza Cecoslovacchia e qui è chiaro che andrebbe fermato con una guerra, ma i pacifisti sono più forti dei guerrafondai, poi occupa l'altra mezza Cecoslovacchia, e arriva la conferenza di Monaco. F e GB non sarebbero in grado di sostenere una guerra di lunga durata, ma neanche H sarebbe in grado di resistere più di un anno, tuttavia ancora una volta trionfa il pacifismo e si arriva alla capitolazione di Monaco. Dopodiché il riarmo della Germania procede a tutto vapore mentre i pacifisti riposano sugli allori e un anno dopo la guerra che H stava perseguendo da 20 anni e freneticamente preparando da tre e mezzo, inevitabilmente scoppia, provocando 50-60 milioni di morti (al posto della manciata che avrebbe provocato facendola scoppiare un anno prima), la Shoah e un intero continente in macerie col suo strascico economia distrutta, società in frantumi eccetera eccetera.
DOMANDA: grondano più sangue e mani dei guerrafondai o quelle dei pacifisti che hanno fatto di tutto per spianargli la strada?
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