Anche la fotografia senigalliese piange la scomparsa di Gianni Berengo Gardin
Il grande fotografo aveva firmato in città il manifesto del Passaggio di Frontiera: il ricordo di Enzo Carli

Presentare Gianni Berengo Gardin, è per me sempre motivo di orgoglio e di soddisfazione per tutta una serie di motivi che tenterò sinteticamente di ricomporre, elencandoli: in primis per la stima e l’amicizia che nutro nei suoi confronti, complice lo stesso Mario Giacomelli
che ci ha presentati circa 44 anni fa ; amicizia che è andata oltre la mia sincera ammirazione nei confronti del suo lavoro e che mi ha permesso di scoprire l’uomo nella suo percorso di vita e di studio, verificato nel tempo da tutta una serie di collaborazioni comuni, non ultima quella che mi ha visto coordinare per conto del Comune di Senigallia un ambizioso progetto giovani”, che prevedeva tre botteghe fotografiche che avevano come tema centrale, il mestiere del reporter in cui ovviamente Gianni Berengo Gardin ha avuto un ruolo fondamentale, suffragato dall’attenzione e dall’affetto dei numerosi giovani che hanno partecipato da tutte le parti d’Italia e anche dall’Europa. Sono altresì orgoglioso di avere fatto parte con Gianni Berengo Gardin, Giacomelli, Ferroni, Cutini, Erba ed altri illustri amici, tra i firmatari nel 1995 del Manifesto:”Passaggio di Frontiera” un impegnativo percorso teorico nella stessa natura della fotografia e nella contemporaneità del suo linguaggio, suffragato nel tempo da tutta una serie di verifiche operative, scritti, cataloghi ed esposizioni fotografiche volte a dimostrare l’impianto teoretico del Manifesto; in questa direzione lo stile, l’apparato semiologico delle sue immagini e la professionalità di Gianni hanno garantito, in un pluralismo di linguaggi, (quanti ne sono stati sperimentati ) un sicuro punto di riferimento, fondamentale per le elaborazioni concettuali espresse nelle verifiche post-Manifesto. Altro motivo di grande soddisfazione è che ogni volta che ho l’occasione di presentare Berengo, colgo l’occasione per parlare di cultura fotografica meglio ancora con un po’ di sociologia della conoscenza delle immagini che cerco di coniugare con il percorso difficile di critico e di protagonista come fotografo, complice l’indimenticabile lezione dell’amico comune Mario Giacomelli. L’industrificio delle immagini e le fabbriche del consenso fotografico con i loro apparati mercantili e commerciali spesso si dimenticano che le storie travagliate ed esistenziali della cultura italiana del primo secondo dopoguerra, hanno originato l’attuale panorama italiano della fotografia; ancora più l’origine rinascimentale della ns/storia e cultura recente che tanto hanno influenzato le scelte artistiche e la formazione dell’immagine che non può essere avulsa dallo studio delle dinamiche socio-antropologiche e dei linguaggi che hanno costituito la struttura portante del lavoro di questo grande testimone del nostro tempo:Gianni Berengo Gardin.
Lo ritroviamo intorno agli inizi degli anni ’50, nel mitico gruppo fotografico :”la Gondola” –l’ècole de Venice- portatore delle istanze ed esperienze della fotografia internazionale, quella della Subjektive Fotografie di Steinert, e muovendosi dalla cultura letteraria americana di Faulkner, Hemingway, Dos Passos, al filone del reportage sociale che come riferimento aveva l’esperienza della Farm Security Administration, l’incredibile indagine fotografica di 250.000 immagini,commissionata dal Congresso americano volte a documentare, illustrare e presentare lo stato di degrado dell’agricoltura americana durante la grande crisi delle farm-houses e soprattutto la dimensione sociale dei farmer’s, abbandonati a se stessi, senza prospettive di lavoro e di vita.
Con l’impegno ideologico grazie anche all’amicizia e alla frequentazione di Paolo Monti, uno dei principali protagonisti della rinascita della cultura fotografica italiana, Berengo acquisisce quella padronanza del lessico, della formulazione grammaticale dell’immagine, sempre illuminata, misurata, equilibrata nella composizione e nella dimensione tonale, storie cariche di drammaticità, di poesia di partecipazione. Non bisogna dimenticare lezione indimenticabile nella metà degli anni ’50, di Henri Cartier Bresson che con il libro”Images à la sauvette” recupera la poetica dell’istantanea nel “momento decisivo” dello scatto che altro non è che portare alle estreme conseguenze il modo di pensare del reportage. Berengo si trasferisce a Parigi dove frequenta il club “30×40” dove incontra alcuni tra i più conosciuti reporte’s del momento tra cui, fondamentali per il completamento della sua formazione, Willy Ronis, Masclet e Thèvenet che influenzeranno su quella caratteristica berenghiana dello sguardo un po’ alla scuola umanista francese che vuole fermare l’istante fuggevole complice di ciò che accade, con immagini argute ed ironiche vicine all’altro grande interprete francese, Robert Doisneau. Ma Berengo è un’altra cosa, va bene la street phptography ma la sua è principalmente una foto di partecipazione,un racconto della storia di sessant’anni della vita sociale italiana di denuncia contro ogni forma di sopraffazione, di prepotenza
Nel 1957 Berengo rientra in Italia e collabora con il settimanale illustrato “il Mondo” di Pannunzio in cui ha l’occasione di mettere in pratica gli insegnamenti acquisiti e, attraverso l’esperienza sul campo di operare le scelte fotografiche; la tendenza del Mondo, contrariamente alla rivista il Politecnico di Vittorini che punta alla sequenza di immagini, è quella del modello longanesiano, dove la foto singola, in grado di riassumere un intero discorso scritto, è l’emblema di una situazione. Non solo al settimanale il Mondo si usa la foto come chiave di volta al testo, ma si cerca di caricare la stessa da punto di vista emotivo e della partecipazione. Ed ecco la caratteristica principale del grande lavoro di Berengo; essere testimone del suo tempo, della realtà che gli scorre avanti, di riprenderla nel modo più obiettivo, senza che nel suo stesso significato non se ne alteri e manipoli in nessun modo il valore di scambio; la trasparenza, l’essenzialità, l’originalità e la comprensibilità dello sguardo che appariscono come la maggior freschezza della sua visione espressiva . La fotografia è il suo modo di scrivere , il suo linguaggio, le immagini le sue parole, i reportages i suoi racconti e le fotografie sono i versi della sua poesia. Le cose riprodotte sono impregnate di vita guardata in faccia come eccitante ricchezza.
La mia formazione in sociologia della conoscenza non poteva che trarne beneficio dall’analisi dall’alta qualità del lavoro di reportage di Gianni Berengo Gardin; dal suo impegno sul campo volto a sostenere a tutto tondo con le immagini, i temi e le ragioni principali che hanno caratterizzato il costume, la vita e la società italiana dagli anni 60 ai giorni nostri, dentro le case, dentro il lavoro, dentro i paesi, le città e le regioni d’Italia; la protesta sociale in cui Gianni ha condotto e partecipato ( e non solo idealmente con le sue immagini), tra cui è importante ricordare l’attenzione per l’emarginazione, ( ricordo l’indagine sugli istituti psichiatrici italiani oggetto poi di un fotolibro con Carla Cerati:”Morire di Classe” che anticipò la legge 180 del 13 maggio 1978 , su gli accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, meglio nota come legge Basaglia o la sua personalissima indagine nel mondo degli Zingari del 1998) oggi estremamente attuale nel dibattito che attraversa una società sempre più multietnica, dai grandi temi del lavoro, alla sua straordinaria capacità di restituirci con immagini trasversali, il lavoro manuale o quello manageriale, con immagini di alta dignità e di forte impatto emozionale, per non parlare della sua ricognizione visiva sullo stato dell’ambiente, che grazie all’opportunità di lavoro propostagli dal Touring Club Italiano e dall’Istituto Geografico de Agostini, ha permesso una documentazione incredibile sullo stato (e sullo sviluppo) dell’ambiente, sempre resa con quella attenzione, sensibilità e partecipazione che ci ha restituito immagini di ampio respiro compositivo per cui la fotografia diviene come non mai, filtro della propria coscienza e strumento eccellente per una trascendere ed estetizzare la realtà quotidiana, dunque oltre che documento, poesia dell’esistenza. Nonostante questa sia una breve presentazione di un grande Autore sul quale si sono cimentati molti e qualificati critici e storici di fotografia, non posso dimenticare alcune suoi reportages di estremo interesse sulla sociologia urbana in cui la messa a fuoco sull’architettura e soprattutto sulla micro antropologia, e quindi sulle funzioni sociali, usi, costumi, coesione e ritrattistica popolare, -e non solo italiana- ci ha permesso l’utilizzo di documenti visivi di vita e di conoscenza.
C’è infine (segno della sua incredibile integrità intellettuale) in Berengo una naturale ritrosia ad identificarsi ed identificare le sue opere in prodotti artistici, semmai come oneste immagini di un serio professionista; nel tempo però le stesse immagini tramano rimandi al nostro invisibile e al nostro modo di vedere e leggere immagini, frastornato da tutta una serie di messaggi e di stereotipi visivi; una buona fotografia, la ricerca della sua verità, non può che ripristinare il nostro sensorio atrofizzato ed educarci alla visione, nella migliore tradizione rinascimentale. In questa direzione i miei sensi, (il mio sentire-vedere) sono attratti da quello che per la mia formazione, è un esempio di entusiasmante poesia visiva, il foto- libro:”Venise des saisons”(1965) immagini liriche, rarefatte di una decadente e amorosa Venezia e dal foto libro:“Un paese vent’anni dopo” una dichiarazione dell’impegno civile di Berengo con la collaborazione di Cesare Zavattini nel testimoniare con immagini, il cambiamento e soprattutto le immagini due mondi che si integrano, quello rurale e quello pre-industriale e urbano dopo vent’anni dal lavoro di Paul Stand su Luzzara,:”Un paese” del 1955 che inoltre riscatta e promuove ontologicamente la nuova fotografia italiana.
Ed è con questo messaggio che lascio alle immagini di Gianni Berengo Gardin, alla sua grande lezione di stile e di linguaggio, al suo spaccato di vita della rinascita della società italiana dal 1950 ad oggi con i suoi sogni, i drammi, le lotte le passioni.
Grazie caro Maestro per la tua grande umanità; per questo lavoro epocale e per tutte quelle infinite emozioni che ci hai trasmesso.
(Enzo Carli)
Gianni Berengo Gardin è per il suo costante impegno e applicazione, certamente tra i più importanti reporter del mondo; inizia la sua lunga e incredibile carriera intorno agli anni ’50; resta profondamente colpito dall’esperienza della Farm Security Administration (FSA ) e i grandi fotografi americani impegnati in quella che forse è stata la piùà importante indagine di fotografia sociologica, tra i quali Ben Shahn, Arthur Rothstein Walker Evans, Dorothea Lange e dalle immagini del fotogiornalismo americano della rivista Life.
Nell’immediato dopoguerra entra a far parte dell’”Ecole de Venise” , così veniva chiamato il foto club La Gondola” il cui punto di riferimento era il grande Paolo Monti e successivamente del “Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia” guidato da Italo Zannier. (Gianni Berengo Gardin a sua volta fondò nel 1958 il gruppo “Il ponte con Giuseppe Bruno, Carlo Mantovani, Paolo Magnifici e Carlo Trois ).
Nel 1954 si trasferisce a Parigi dove conosce e frequenta i grandi fotografi francesi della tradizione umanista, tra gli altri Masclet, Willy Ronis, Doisneau, Boubat; consolida la sua stima e fascinazione per il lavoro di un grande della fotografia quale Henri Cartier Bresson. Dopo l’esperienza significativa a Parigi, ritornato in Italia, dopo avere lavorato con il Borghese di Longanesi e soprattutto con il Mondo di Pannunzio, diventa professionista nel 1962, dedicandosi alla fotografia di architettura ( collaborando con architetti del valore di Carlo Scarpa e Renzo Piano) e fotografia sociale ed ambientale per conto del Touring Club Italiano e con l’Istituto Geografico de Agostini e continuando la sua feconda produzione di reporter free lance che lo porterà a realizzare, a tutt’oggi, oltre 200 libri e tutta una serie di riconoscimenti prestigiosi, tra cui l’Oscar Barnack Award e il Lucie Award alla carriera.
Da
Enzo Carli


























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