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Italia Nostra: “Per ponte Garibaldi è la cittadinanza a chiedere un’alternativa”

"In un tessuto urbano così ricco di valori deve porsi problema di come inserire il nuovo manufatto senza alterare l'equilibrio"

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Portici Ercolani nel primo '900

Le ragioni opposte da Italia Nostra contro il progetto di ricostruzione del ponte Garibaldi sono state liquidate in alcuni interventi a stampa da parte di uno o più rappresentanti delle Amministrazioni Pubbliche come una questione di “semplice” estetica, che quindi deve ragionevolmente lasciare il passo alle più pressanti ragioni della sicurezza pubblica.

Mai motivazione più debole e pretestuosa, che rivela mancanza di argomenti: basti dire che proprio la bellezza costituisce il grande patrimonio del nostro paese e come tale rappresenta anche una grande risorsa economica. Di conseguenza il suo peso nel determinare le scelte di un’opera pubblica non dovrebbe essere inferiore a quello delle ragioni tecniche. E già questo basterebbe a togliere ogni giustificazione ad un progetto devastante e a richiedere soluzioni alternative, anche laddove risultassero più costose. Quando si parla di bellezza ci si riferisce ovviamente nel caso specifico alla prospettiva dei Portici, che non è solo la veduta più bella della città, non è solo la sua immagine identitaria: è il cuore della città stessa!

Palazzo Gherardi nell'Ottocento durante la Fiera di Sant'AgostinoQuando infatti alla metà del ‘700 con la cosiddetta “ampliazione” si decise di dare una risposta alla mancanza di spazi commerciali e abitativi determinata dal grande sviluppo della Fiera Franca, si progettò anche di modificare radicalmente l’impianto della città, che da quel momento non fu più la stessa.

I precedenti interventi, prima quello malatestiano alla metà del ‘400 e poi quello roveresco un secolo dopo, si erano preoccupati soprattutto di ripopolare la città e restaurarne l’economia, favorendo sì anche la ricostruzione di case, palazzi ed edifici pubblici, ma senza modificare significativamente l’impianto urbano; l’intento principale era quello di garantire la difesa con la ricostruzione del giro delle mura, che nel caso dei Della Rovere rappresentarono anche un esempio di moderna ingegneria militare.

Senigallia restava però una piccola città, stretta fra Piazza del Duca e via Pisacane con l’aggiunta del quartiere del Porto, riservato soprattutto alla pesca e ai magazzini della fiera e collegato solo da un vecchio ponte di fronte alla chiesa del Porto. Una città ancora fortemente connotata dai caratteri medievali legati all’esigenza della difesa, quindi chiusa verso l’esterno.

Questa situazione può essere ben esemplificata dall’assetto della viabilità. Chi nel cinque/seicento veniva da nord e intendeva accedere alla città murata, prima percorreva la strada di mezzo, perché più sicura e agevole rispetto alla strada della marina. Arrivato ai piedi del colle dei Cappuccini (odierno Ospedale) seguiva il fiume (odierna via Rossini), entrava nel quartiere Porto per Porta Urbana o Crocifissa all’altezza dell’odierna via A. Caro e poco dopo poteva attraversare il fiume sul vecchio ponte di fronte alla chiesa. Quindi continuava sul lungofiume di destra fino alla Porta Vecchia (ex Liceo Perticari), dalla quale entrava nell’odierna piazza Simoncelli percorrendo un dedalo di viuzze di impianto medievale. Un percorso tortuoso determinato dal mancato adeguamento della viabilità alle trasformazioni della città. Non era infatti percorribile l’attuale Corso 2 Giugno chiuso verso il fiume dalla cattedrale e dal palazzo vescovile, non esisteva di conseguenza un asse viario che collegasse la città al quartiere del Porto per uscire all’esterno verso nord. Per uscire dalla città si faceva in senso inverso lo stesso tortuoso percorso dell’andata.

Portici Ercolani in una stampa d'epocaLe due fasi dell’ampliazione cambiano tutto. L’abbattimento delle mura malatestiane lungo il fiume e di parte di quelle roveresche lungo via Pisacane aprono due nuovi percorsi di attraversamento della città, quello del Corso che mette in asse Porta Nuova con Porta Lambertina tramite un nuovo ponte e quello che passa per la piazza del duomo mettendo in collegamento Porta Colonna (oggi Mazzini) con Porta Cappuccina per continuare anche qui verso nord tramite un nuovo ponte. L’elemento di raccordo di questi due assi diviene il lungo porticato detto Portici Ercolani, che non assolvono solo ad una funzione estetica di riqualificazione dell’immagine della città, ma vengono a costituire il centro commerciale e l’asse viario trasversale su cui si appoggia tutta la città, la vecchia fino a via Pisacane e la nuova fino al fiume con un impianto perfettamente ortogonale secondo i canoni geometrici settecenteschi.

A questo punto è chiaro che esiste certamente anche una “questione estetica”, dal momento che la fuga o meglio la prospettiva dei Portici è la più bella veduta paesaggistica urbana e l’immagine identitaria della città. Ma il lungo porticato che costeggia il fiume è anche e soprattutto la principale testimonianza storica della città, la struttura portante del suo impianto urbano e l’elemento che gli da forma, legando la zona dell’antico porto (piazza Manni) al quartiere dell’ampliazione convergente verso la piazza del duomo: su questo lungo porticato sfociano tutte le strade che attraversano da sud a nord il centro storico. Per cui qualsiasi intervento su un tessuto urbano così ricco di valori estetici e storici, così evocativo della fase più importante della costruzione della città deve porsi il problema di come inserire il nuovo manufatto senza alterare il delicato e consolidato equilibrio delle forme e dei volumi, tanto più che da quello che si intuisce i ponti da ricostruire saranno due con un impatto visivo ancora maggiore.

Questo e non altro si chiede: una riconsiderazione del progetto alla luce di questi aspetti: l’adozione di un progetto alternativo già esistente. E’ la cittadinanza a chiederlo. E’ un obbligo di democrazia. Un ritardo di mesi sarà nulla di fronte al tempo (decenni, secoli?) di durata di questi due manufatti.

Prof. Virginio Villani
Italia Nostra

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