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Senigallia, giorno del ricordo: il consiglio comunale commemora le vittime delle foibe

Bello ha aperto i lavori del Consiglio con un intervento per richiamare alla memoria i Martiri delle Foibe e l’Esodo degli Italiani dall’Istria, dalla Dalmazia e dal Venezia Giulia

Consiglio comunale di Senigallia

Un minuto di silenzio per ricordare le vittime del “Giorno del Ricordo”. Nella seduta di venerdì 19 febbraio, il Presidente del Consiglio Comunale Massimo Bello ha onorato e commemorato la ricorrenza del 10 febbraio, istituita per legge nel 2004 dal Parlamento della Repubblica. In Aula il Presidente Bello ha aperto i lavori del Consiglio, pronunciando un intervento per richiamare alla memoria i Martiri delle Foibe e l’Esodo degli Italiani dall’Istria, dalla Dalmazia e dal Venezia Giulia, “costretti a lasciare le loro case, la loro terra soltanto perché colpevoli – ha esordito Bello – di essere italiani”.

Ecco il testo integrale dell’intervento del Presidente del Consiglio Massimo Bello.

Cari Colleghi,

desidero dedicare qualche minuto di questa seduta ad una ricorrenza importante, che noi tutti abbiamo il dovere e il diritto di ricordare.

Desidero farlo adesso e in forma solenne, a distanza di una settimana dalla ricorrenza ufficiale, ricordando una verità lontana, ma che fa male e paura ancora oggi.

Quella verità è l’orrore delle foibe, della pulizia etnica pianificata e di una pulizia ideologica. Quella verità è anche l’orrore dell’esodo degli Italiani, costretti a lasciare le loro case, la loro terra soltanto perché colpevoli di essere Italiani.

Il Maresciallo Tito, le sue fedelissime brigate comuniste, supportate anche da alcune famigerate brigate di partigiani comunisti italiane, commisero uno dei fatti più atroci che il secondo conflitto mondiale produsse. Il Parlamento della Repubblica italiana nel 2004 volle giustamente che quell’esodo e quell’eccidio, quel martirio di migliaia di Italiani non fossero dimenticati, ma rimanessero ben visibili nella Storia perché per oltre quarant’anni la codardia, la vergogna e l’arroganza dei vincitori avevano scientificamente e scientemente, consapevolmente e deliberatamente nascosto la Verità. Ci vollero più di quarant’anni perché quella Verità venisse alla luce, depurata dalle tante falsità che per decenni avevano cancellato fatti, nomi, vittime, arrivando addirittura a premiare i carnefici di tanta crudeltà.

Vorrei precisare che noi non dobbiamo dire la verità per convincere quelli che non la conoscono, ma per difendere quelli che la conoscono. A volte l’uomo inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi si rialza e continua per la sua strada. Ed è ciò che in tutti questi ultimi decenni, dal verificarsi di quei fatti, donne e uomini di buona volontà hanno fatto, affrontando qualsiasi tipo di difficoltà, omissioni, muri di gomma. Ma come ebbe a scrivere Arthur Schopenhauer “ogni verità passa attraverso tre fasi: prima viene ridicolizzata; poi è violentemente contestata; infine viene accettata come ovvia”.

C’è una data che ricorda quell’eccidio, quello sterminio di Italiani; c’è una data che ricorda quell’esodo. E’ il 10 febbraio: il giorno del Ricordo. Perché il 10 febbraio?

Il 10 febbraio 1947 venne firmato il Trattato di Pace, che assegnava in modo definitivo l’Istria, la Dalmazia e parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia. In quelle regioni di frontiera, dalla data dell’armistizio dell’8 settembre 1943 fino al maggio del 1945 (ma anche nel ’46, ’47 e ’48) i partigiani comunisti del Maresciallo Tito scatenarono una feroce rappresaglia contro gli Italiani, aiutati dai partigiani comunisti italiani, mascherando quegli atti come azione contro i fascisti. Migliaia di uomini, donne e bambini vennero affamati, massacrati e gettati, spesso ancora vivi, nelle foibe, profonde cavità carsiche di origine naturale. Ma il “Giorno del Ricordo” non è soltanto dedicato al dramma degli infoibati: è anche il giorno di quei 350.000 Italiani costretti a lasciare la loro terra per essere sfollati al di là del nuovo confine.

Da più parti, ancora oggi e in prossimità della ricorrenza voluta dal Parlamento italiano, pur di scolorire e di negare la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo, c’è chi ricorre a due argomenti: erano pochi, gli infoibati, ed erano fascisti, su cui si esercitava una comprensibile vendetta. A costoro mi permetto soltanto di dire che tutta la verità sulle Foibe e sull’Esodo degli Italiani è già stata detta e che lo spazio per altre menzogne è finito. E’ pur vero che la maggior parte delle persone non crede nella verità, bensì in ciò che desidera sia la verità. Ma per quanto questa gente possa tenere gli occhi bene aperti, in realtà non vede niente.

Ora desidero ricordare due vittime di quell’atroce “pensiero unico”, che ha mietuto migliaia di morti in nome di un’ideologia, quella comunista, condannata anche recentemente da una Risoluzione del Parlamento europeo, che ha equiparato la crudeltà del comunismo a quella del nazi-fascismo.

Voglio ricordare due vittime, che da sole basterebbero a spiegare la ferocia di quell’ideologia, che mosse il Maresciallo Tito e i suoi partigiani con la stella rossa cucita sul petto e sul cappello a preparare lucidamente il massacro di innocenti per la sola colpa di essere italiani.

La prima si chiamava Angelo Adam, meccanico, originario di Fiume. Il 2 dicembre 1943 era stato deportato dai nazisti a Dachau (campo di sterminio) con il numero di matricola 59001. Era sopravvissuto ed era tornato alla sua città. Nel 1945 venne prelevato con la moglie dai partigiani comunisti titini e scomparve. Come la figlia diciassettenne, che aveva chiesto notizie dei genitori. Angelo Adam aveva 45 anni, era italiano, era antifascista ed era ebreo.

La seconda si chiamava Norma Cossetto, studentessa universitaria istriana, torturata, violentata e gettata in una foiba. Era stata assassinata dai partigiani comunisti di Josip Broz, meglio conosciuto come Maresciallo Tito, nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943. L’unica “colpa” di Angelo Adam e di Norma Cossetto era stata quella di essere italiani.

A loro quest’oggi va il ricordo di questa ricorrenza, quella del 10 febbraio, di cui Vi chiedo, Colleghi, di osservare un minuto di silenzio. Grazie.”

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