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I dieci anni dal Mezza Canaja all’Arvultùra in mostra a Senigallia

600 fotografie per raccontare la storia di un collettivo, le iniziative...e la storia di una città

Il Foro Annonario di Senigallia

Ventisei pannelli da 100×70 cm. Seicento foto a colori e in bianco e nero. Quindici metri per raccontare i dieci anni del Mezza Canaja. Una mostra fotografica itinerante che ferma quasi tutti gli istanti di vita del collettivo politico, dalla nascita del Kantiere Occupato Autogestito MEZZA CANAJA allo Spazio Comune Autogestito ARVULTURA.

Assemblee, dibattiti, feste, sit-in, azioni, occupazioni, manifestazioni, cortei a Senigallia, nelle Marche, in Italia e in Europa. locandina per il 25 aprile, Festa della LiberazioneLe attività che si sono susseguite nei vari spazi occupati, dall’ex-sep all’ex-enel, dall’ex-ragno alla ex-casa del custode, fino all’attuale spazio in Via Abbagnano. I volti, i corpi che hanno attraversato le iniziative di questi dieci anni e alcuni frammenti di vita quotidiana durante le occupazioni.

La mostra fotografica sarà esposta nel centro storico di Senigallia venerdì 25 aprile al Foro Annonario dalle ore 16:30 alle 20:30 e domenica 27 aprile in Piazza del Duca dalle ore 16:30 alle ore 20.

locandina per il 27 aprile sui dieci anni del Mezza CanajaIl programma:

– venerdì 25 aprile, ore 16:30, presso il Foro annonario: “Chi non festeggia ha perso! Festa della Liberazione”. In collaborazione con Ass. A.N.P.I., Ass. Gratisclub e Arvultura. Artisti di strada, teatro, musica, mostra fotografica e aperitivo con i prodotti biologici del Mercato Mezza Campagna.

– domenica 27 aprile, ore 16:30, presso piazza del Duca: “Dieci anni di lotta, dieci anni di amore“, Mostra fotografica, skateboarding, performance e writing. In collaborazione con T.N.T. CREW.

Testo introduttivo alla mostra fotografica.

Su di un pugno di ragazzi pazzi di speranza...

C’era una volta la “belle époque” neoliberale. C’erano Clinton con la sua mascella da soap-opera e Prodi con l’idea dell’ulivo mondiale. Era la fine degli anni novanta dello scorso secolo, la storia era finita già da un pezzo ed i potenti della terra si riunivano nelle piazze delle capitali mondiali in una pubblica manifestazione di sfarzo, lusso e potere.

Tutti potevano guardare, tutti potevano ammirare, tutti potevano desiderare, tutti potevano “partecipare” alla corte postmoderna di Re Sole. I sudditi osservavano la magnificenza dei regnanti nell’illusione che un giorno – molto presto – un briciolo di quella ricchezza e di quello sfarzo sarebbero toccati anche a loro.

E in fondo perché non crederci, l’impero del male non esisteva più, la democrazia a stelle e strisce aveva vinto, la logica dell’individuo proprietario si affermava svendendo patrimoni pubblici e diritti. Insomma, la storia umana si avviava verso il meritato lieto fine.

Ma qualcosa andò storto. La mascella di Clinton divenne ancora più pronunciata quando vide quelli che riteneva i suoi sudditi più devoti – in quanto i più ricchi – prendere per il bavero i delegati che si dirigevano al grande banchetto indetto dal WTO.

I sudditi si erano ribellati, avevano tolto la tovaglia dal banchetto rompendo tutta la cristalleria. Il WTO falliva, la democrazia neoliberale restava nuda e per coprire la propria vergogna decretò lo stato d’assedio: Seattle, 30 novembre 1999.

Quella fine di secolo per una generazione fu il momento di prendere la propria parte nella storia. Smettere di curare il proprio orticello per occuparsi del mondo. “Voi G8. Noi 6miliardi”.

La globalizzazione economica aveva aumentato le diseguaglianze sociali non solo tra il nord e il sud del mondo, ma anche dentro il ricco occidente. Il subcomandante Marcos chiamava il neoliberismo la quarta guerra mondiale, quella del capitale contro la vita umana. E la guerra ci fu per davvero.

Era il luglio del 2001, centinaia di migliaia di persone vennero attaccate da forze di polizia in assetto da guerra. Durante il G8 di Genova ad una nuova generazione veniva impartita una vecchia lezione, quella del piombo.

Ci siamo incontrati tutti lì, in strada, tra le esplosioni e il fumo di Via Tolemaide.
Ci siamo incontrati tutti lì, perché tutti potevamo essere Carlo Giuliani: perché tutti siamo Carlo Giuliani.
Da allora abbiamo deciso di camminare insieme, perché ognuno deve dare qualcosa per fare in modo che alcuni non siano costretti a dare tutto.

Quel frammento di guerra civile, anzi, di guerra ai civili che fu il G8 di Genova, divenne globale e permanente quando l’11 settembre vennero attaccate le Torri Gemelle e il 7 ottobre l’Afghanistan.

Il neoliberismo era in crisi, necessitava di nuovi mercati, di nuove ricchezze, di nuova espansione e la guerra fu la soluzione. Guerra militare e guerra economica, cioè controllo ed esproprio di ricchezze altrui tramite l’occupazione di territori e/o il ricatto sul debito. Quest’ultimo portò nel dicembre del 2001 al fallimento dello stato argentino e alla prima grande rivolta contro le politiche di privatizzazione e di austerità. Nessuno poteva immaginare che neanche nove anni dopo, la stessa cosa sarebbe accaduta in Grecia e nell’Europa mediterranea.

Insieme a milioni di persone ci mettemmo di traverso alla guerra. Bloccammo i treni che portavano ad Aviano armi e mezzi militari, sabotammo le basi USA, lanciammo il boicottaggio delle banche che investivano in armi e il 15 febbraio 2003 ci fu in tutto il mondo la più grande manifestazione contro la guerra che la storia umana abbia mai visto. Il New York Time definì il movimento “no war”, la seconda potenza mondiale.

Qui a Senigallia la guerra era distante. Avremmo avuto l’occasione di deriderla nell’estate del 2003, quando l’Esercito Italiano organizzò una giornata di promozione della leva obbligatoria sul lungomare di Senigallia. I nostri corpi nudi, contro le loro divise. Atti pubblici in luoghi osceni.

Nell’aprile del 2004, l’Associazione Nazionale Carabinieri e la Giunta Angeloni, invitarono a Senigallia l’allora Ministro della Difesa, Antonio Martino di Forza Italia, a presenziare alla parata militare a favore delle occupazioni militari in Afghanistan e in Iraq.

Gli alfieri della guerra erano qui, nella nostra città, nella tranquilla e ridente provincia dell’impero. Ora toccava a noi.

Venerdì 16 aprile occupammo un’area dismessa del porto, esattamente dentro la fatidica “zona rossa” proibita ad ogni manifestazione. Lo striscione recitava: “Con l’Iraq negli occhi. Con Carlo nel cuore”. La firma, per la prima volta, Kantiere Occupato Autogestito Mezza Canaja.

Il resto, come si suol dire, è storia…

 

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