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Come è finito quello che chiamavano “Modello Marche”

Uno slogan che serviva, un tempo, a riempire la bocca solo al politico di turno

Optovolante - Ottica a Senigallia
Le Marche e le città marchigiane

Era, lo capisco solo ora, una formula politica studiata per non dire nulla, impegnarsi non più di tanto, ma per darsi un tono nei vari tavoli di lavoro, siano essi stati tondi, quadrati o rettangolari. Ma dietro c’era, appunto il nulla, quel nulla che poi è emerso pian piano fino a giungere ai giorni nostri e di cui ora si da una colpa generica alla “Crisi”. Sarebbe molto più corretto allora far precedere quel “Crisi” dalla parola “anche”.

Sono stato sempre del parere, che fintanto si vive in un “clima di pace economica”, qualsiasi testa dentro un cappello con visiera rigida e galloni dorati, sia in grado di condurre l’esercito della gente che lavora e che produce.

Più l’esercito è piccolo, più il “comandante” è pari grado quasi ai suoi subalterni che conosce per none uno ad uno e con loro lavora, produce, progetta, prevede e provvede.

E’ quando il “comandante” si lascia prendere dall’ambizione sfrenata a cui inesorabilmente porta il successo, che nascono i primi problemi. Ecco che tende prima di tutto a cingere il suo cappello di ulteriori galloni, senza preoccuparsi delle dimensioni di quello che esso contiene: le sue capacità imprenditoriali.

Oggi si usa definire con il termine “Imprenditore” chiunque abbia una partita IVA, anche se è imprenditore e dipendente di se stesso. Però fa tanto figo, e ti fa pagare tante tasse!

Ieri si faceva la “gavetta”, la così detta mezzacucchiara diveniva dopo un po’ di tempo manovale e dopo ancora, magari un buon muratore. Se poi era stato previdente, aveva fatto sacrifici e si era tolto qualche risparmio, rischiava e si metteva sul mercato come “Artigiano”, assumendo un’altra mezzacucchiara e via a seguire.

Io parlo di ciò che avveniva subito dopo la fine della seconda guerra, quella che per età, ben ricordo.
Era allora tutto più facile, c’era bisogno di tutto, bastava solo avere la volontà e la salute per rimboccarsi le maniche e lavorare a testa bassa. Lo Stato non era ancora sanguisuga, ed i Politici, indipendentemente dalle loro idee, erano degli Statisti e non mezze cartucce, come quelle in dotazione nel nostro Parlamento attuale.
E molti in quel periodo hanno fatto la scelta di diventare “Artigiani”.

Tanti ci sono riusciti, ma pochi sono quelli che sono effettivamente emersi e sono giunti al grado di “Industriali” di rango. Molti sono onorevolmente “morti” come artigiani, seppur dopo aver creato e portato a buon fine, discrete imprese, con operai ed impiegati. Ma l’eccellenza, quella di cui ancora si rammentano i nomi, nela storia economica marchigiana, li si contano sulle punta delle dita di qualche mano.

Anzi sarebbe meglio dire, anche se apparirò cattivo, che erano forse molti di più, ma come dice il proverbio, ed i proverbi difficilmente sbagliano: “La prima generazione crea, la seconda mantiene ed espande , la terza è soggetta a dilapidare”.

La prima, quella “artigiana”, con pochi galloni o addirittura senza cappello, rimboccatasi le maniche ha creato, ha dato un’istruzione ai figli affinchè portassero avanti quello che loro avevano creato. Alcuni di questi figli, sono rimasti in azienda, ma consapevoli del loro limitato valore dirigenziale, hanno preferito rimboccarsi le maniche e lavorare senza ambizioni di grandezza chiudendo onorevolmente la carriera da artigiani, figli di artigiani. Altri, in possesso del “pezzo di carta”, voglia di lavorare, capacità organizzative ed un forte “senso degli affari”, hanno, proprio loro, invogliato i loro genitori ad allargarsi, a produrre di più, a sfociare in mercati internazionali. Il titolo non era più quello di artigiano, ma di “Industriale”. Il berretto diventava simile a quello di un ammiraglio, visti i fregi dorati. Ma questo “oro di civetta”, fungeva da richiamo ad una nuova specie animale, la sanguisuga nulla facente, ma infinitamente prodiga di promesse, che entrava a far parte della vita dell’Azienda, pur restandone fuori : I “Politici”.

Ma ancora, si viveva in un periodo in cui la parola data, la correttezza, l’onestà, aveva il suo peso. Ancora in vita c’erano i vecchi genitori, la cui parola data aveva valore di cambiale e la stretta di mano era il suggello finale di un contratto neppure scritto. Quindi il “Capitano d’Azienda” viveva, o doveva vivere nel Limbo dell’ ingenuità, cominciava a comprendere, ma faciva finta di credere che la “Politica” servisse, oltre che all’Azienda, anche al progresso civile nazionale.

E si arriva così alla nascita della terza generazione. E questi figli allora, non dovevano e potevano accontentarsi dello stesso suo “pezzo di carta” di giovane industriale figlio di un artigiano, ma dovevano bensì prendersi una Laurea. Ma neppure la laurea era sufficiente, ci voleva il Master e se poi il Master lo si faceva all’estero era ancor meglio e più distante si andava, forse più valeva.

Non è la storia di tutti, per carità. Però un discreto numero, ambiziosi, incapaci, montati, hanno rifiutato, al loro ritorno nel suolo natio, quel copricapo dorato che il genitore orgogliosamente gli poneva sul capo. Non lo so se per gli insegnamenti ricevuti nelle università di oltreoceani, vorrei sperare di no. Affermavano che quanto fatto dai loro padri era tutto superato, non andava più di moda il solo rimboccarsi le mani, sudare e produrre. L’utile maggiore lo si creava giocando a Risiko con le Banche. I comandi, ora, li dava un “Manager” ed il figlio di papà, con tanta puzza sotto il naso, dismesso il velo di ingenuità che ricopriva il genitore, si appropriava del titolo di “Finanziere” prima ancora che delle sue nuove mansioni che comprendevano solo il tenere contatti avvicinandosi ai veri motori di un’Azienda moderna: I Politici e le Banche. Quest’ultime non nel vecchio ruolo che avevavo sempre esercitato con il vecchio genitore, ma in qualche cosa di più complesso, che babbo, non avrebbe mai potuto capire… buon per lui!

Quella linfa vitale dell’artigiano, che era la sua forza lavoro, che conosceva per nome uno per uno i suoi dipendenti, pardon, “Collaboratori”, ed a cui sapeva di poter chiedere aiuto e con cui poter far fronte al momento opportuno, lui, il “figlio di papà” era un compito che invece relegava, dalla parte aziendale al suo “manager” e dall’altra della forza lavoro, ai “sindacati”. Entrambi, però, personaggi anonimi fra loro e conflittualmente utili solo per interessi propri da una parte e politici dall’altra ed i lavoratori lasciati a se stessi.

Non in tutte, torno a ripeterlo, ma certamente in diverse, forse in troppe oserei dire, si chiudevano rapporti aziendali di onesta natura famigliare e si aprivano ad altre “Famiglie” con un altra visione delle parole “onestà”, “correttezza”, “dignità”.

La “Politica”, seppur fuori delle quattro mura della fabbrica, prendeva sempre più il sopravvento, elargendo indicazioni di che cosa e come fare e di che cosa non fare, attraverso “suggerimenti suggeriti“, mai obbligati, semmai potevano sembrare forse nel tono con cui venivano “impartiti”.
E, qualora non ce ne fossimo accorti, siamo giunti nel processo di quella terza generazione, quella del dilapidare di cui si parlava sopra.
Si guardi bene, qualcuno l’ha fatto, anche giocando, andando a puttana, scialacquando quanto creato dal padre.

Altri ancora invece, hanno bruciato tutto facendo il passo più lungo della gamba non considerando che il cappello era dorato, ma di misura troppo grande per contenere la piccola, come dicono i lumbard, “testina”.

I restanti, appunto, non certo stupidi, ma forse meno retti, diciamo sicuramente più elastici, hanno seguito i colori della politica, si sono buttati in appalti in cui sarebbe stato meglio non impegolarsi ed ora che tutto sta andando a puttana, per via, anche, della “Crisi”, piangono miseria e si definiscono innocenti per la situazione che si è venuta a creare.

I Politici dal canto loro, fanno altrettanto, rigettando al mittente le colpe e continuando a promettere (l’unico valore che essi conoscono!) che ancora, almeno qui da noi, il “Modello” che tiene ancora è quello delle “Marche”.

Ancona, capoluogo di regione, è in mano al degrado. La criminalità, che in queste occasioni gli operatori preposti (ma meglio, visti i mezzi e gli uomini messi a loro

Commenti
Solo un commento
Ritaldo Abbondanzieri 2013-09-22 18:51:20
Bravo ! Bisogna reagire a questo stato di cose iniziando ognuno di noi ad uscire dallo stato di assistiti per divenire protagonista del nostro sviluppo a testa alta e con dignità.!
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