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Intervista ad Elena Sofia Ricci: “I vetri rotti rifletteranno le vostre paure”

Il monumentale testo di Miller verrà portato in scena al Teatro la Fenice. Rinviata la data prevista per il 1° marzo

Elena Sofia Ricci

Una notizia drammatica riguardante un bivio che segnerà la storia mondiale, una paralisi improvvisa in cui precipita Sylvia ed il microuniverso di Philip e del medico Hyman che vanno in frantumi.

E’ questo l’incipit di “Vetri Rotti”, il dramma di Arthur Miller che verrà portato in scena al Teatro La Fenice da Elena Sofia Ricci, Gianmarco Tognazzi e Maurizio Donadoni, per la regia di Armando Pugliese. La data prevista, giovedì 1° marzo, è stata rinviata a data da destinarsi a causa dell’ondata di neve e gelo.

A guardare bene dietro quello che sembra un semplice dramma si cela una tragedia infinitamente più grande che ingoierà i protagonisti ma anche gli spettatori, un buco nero nero che svelerà infiniti livelli di lettura in una strada che dalla storia, spesso tragica, porta nei meandri più oscuri dell’anima.
Un testo che non viene riportato in scena dal 1995 – ci dice Elena Sofia Ricci, contattata a pochi giorni dallo spettacolo – quando l’ho letto mi sono interrogata sul perché: si tratta di un testo straordinario, non facile da eseguire, certo. Un testo complesso che si presta a svariati criteri di lettura e che non può lasciare indifferenti. A distanza di tre mesi, ogni volta che lo portiamo in scena ci sorprendiamo della sua profondità”.

Ma come ci si avvicina ad un testo così stratificato? “Mi sono preparata a questa opera affondando le radici nei miei 56 anni di vita; è chiaro che non avrei potuto fare questo testo vent’anni fa: non avevo ancora le conoscenze, le competenze di donna… a trenta, anche a trentacinque anni ancora molte cose non si sono capite. Oggi, alla mia età, se ci si è fatti attraversare dall’esistenza è possibile guardare a fondo un testo del genere: alla radice c’è un nucleo che riguarda tutti noi, la percezione della donna e dell’uomo, il tema della paralisi, dell’impotenza, della paura che ci paralizza e non ci fa dire le cose né essere se stessi fino in fondo; e poi con la preparazione che i miei 36 anni di carriera mi hanno insegnato, oggi posso dire di avere i mezzi per poter raccontare un testo del genere”.

Tra le difficoltà pratiche c’è stata quella della paralisi che colpisce il personaggio di Sylvia: “Ha significato per me immedesimarmi in una sfida nuova, insolita; un aspetto con cui non avevo fatto i conti quando mi sono avvicinata a questo testo: in principio ho badato più ad un’indagine storica e psicologica dei personaggi e pensavo che stare su una sedia a rotelle per tutto il lasso di tempo dello spettacolo non sarebbe stato poi così difficile… niente di più sbagliato. Il dimenticarsi per due ore di metà del proprio corpo è stata una sfida con cui mi sono dovuta confrontare, il dover ragionare dalla cintola in su. Oltre a questo ostacolo, più di natura pratica, di questo testo mi colpisce la potenza”.

Una storia che ruota intorno ad un triangolo di tre personaggi che devono fare i conti con la loro origine semita e con le domande che come schegge impazzite si infilano sotto la pelle, fino all’anima.

La paralisi di Sylvia non affonda le sue radici nella notte dei Cristalli e in tutto quello che sta accadendo in Germania, bensì in qualcosa che la riguarda molto più da vicino, all’interno della coppia, tra lei ed il marito e dentro sé stessa: affonda nella percezione che lei ha, come tutti e tre i protagonisti, di essere ebrei”.

“I Vetri Rotti sono i frammenti di sé andati in frantumi contro gli anfratti dell’esistenza, sono i frammenti delle coppie andate in pezzi, delle paure che ci inghiottono. La paralisi di lei, ma anche l’impotenza di lui ne sono la conseguenza ma anche il principio: la paralisi genera frustrazione, la frustrazione genera violenza e così si entra in un circolo, una spirale senza fine che manda in frantumi tutto e tutti…un’opera in cui sono tutti un po’ vittime e carnefici”.

Gli spettatori – conclude l’artista – dovranno aspettarsi di uscire fuori da teatro con non poche domande di una certa portata ‘Chi sono io veramente?’ , ‘Cosa voglio?’ , ‘Cosa faccio?’, e soprattutto ‘Sono onesto con me stesso di fronte alla paure che mi paralizzano?”.

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