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Quale centro per i giovani

Una riunione indetta dall'amministrazione comunale di Senigallia è stata l'occasione per una riflessione sulle proposte che la nostra città offre ai giovani.

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Sono capitato quasi per caso, in rappresentanza della associazione a cui appartengo (l’Azione Cattolica), ad un incontro con l’assessore alle politiche giovanili sulla questione del nuovo centro di aggregazione giovanile che il Comune ha intenzione di aprire nella zona del Cityper. L’incontro si è tenuto giovedì 5 giugno nella Biblioteca Comunale, ed erano presenti i rappresentanti degli studenti delle superiori e i rappresentanti di alcune associazioni attive nel territorio.Ho subito avuto la sensazione che si prova quando si intuisce, in un istante, che c’è un’occasione da cogliere, un’opportunità grande da sfruttare, da parte dei giovani di Senigallia: la possibilità, irripetibile, unica, di avere a disposizione una casa di tre piani nella quale creare un luogo che i giovani possano sentire proprio. Sono anni che sento lamentele: i giovani non hanno spazi, per suonare, per esprimersi, anche semplicemente per vedersi e fare qualcosa insieme.
Però sono perplesso. Perplesso perché ho come l’impressione che inconsciamente (inconsciamente?) si spinga a non rendere efficace al massimo questa risorsa.
La tendenza attualmente principale, almeno a sentire e… soddisfare i rappresentanti degli studenti, sembra quella (chiaro… come aspettarsi il contrario!?) di un centro autogestito nel quale i giovani decidono liberamente cosa fare e come. Il Comune chiaramente è in una fase di ascolto, vuole che siano definite le responsabilità di entrambe le parti (chi offre la struttura e chi ne usufruisce), ma non si sbilancia.
Mi piacerebbe che si riflettesse un po’ su questa parola autogestione, che non credo si adatti all’idea di un centro di aggregazione così potenzialmente ampio come quello in questione. I miei ricordi degli anni delle superiori non depongono certo a favore delle cosiddette settimane autogestite, dove girando per le classi vedevo molte volte il deserto (e una cappa di fumo in bagno…), e dove qualcuno, preso da un minimo scrupolo di presenza fisica, organizzava qua e là tornei di carte. E certo non è un esempio di autogestione riuscita l’utilizzo dei sotterranei del centro diurno per le prove dei gruppi musicali, dove, avvolti da un piacevole odore, i rifiuti potevano essere ben visibili per terra nel corridoio (non nelle singole stanzette personalizzate dai gruppi, chiaro…), e dove forse qualcuno ogni tanto avrà pure pulito il bagno (non è che ne sono tanto convinto, poi…) ma di certo si è scordato di metterci la luce e di far funzionare bene il lavandino. E si trattava solo di un luogo dove suonare, non adibito ad altre attività. Figuriamoci un centro di aggregazione. .. Certo io non ho molte esperienze di questo tipo, se scartiamo gli anni di animatore di un gruppo di adolescenti e le attività dell’Oratorio, ma oggi sono sempre più convinto che il metodo autogestito non funziona, quando si parla di aggregare giovani delle più diverse idee e stili di vita. A meno che non si voglia ridurre l’opportunità di un centro di aggregazione all’esperienza di un centro sociale del tipo di quelli che possiamo vedere nelle grandi città (certo non i nostri di Senigallia…), trasformando l’idea di libertà in quella di anarchia, lasciando spazio non alle esigenze dei giovani ma alle iniziative politicizzate di una sola parte.
Ho sentito frasi assurde all’incontro dell’altro giorno, frasi che parlavano di intolleranza verso giovani di precise tendenze politiche, frasi che si basavano su pretese prive di fondamento, prive di civiltà… Il delirio allo stato puro… Non è questo che vorrei per i giovani di Senigallia.
Ho navigato un po’ su Internet l’altra sera, notando che tutti i centri di aggregazione (almeno i siti che ho visitato) prevedono una o più figure professionali adatte a garantire una continuità, una progettualità a quello che si realizza all’interno della struttura. Sono sempre più convinto che non basta avere uno spazio dove stare, ma che i criteri di gestione devono rispondere ad un preciso progetto educativo, pensato da una, due, più persone, ma comunque pensato da qualcuno. Certo chi lo pensa non può prescindere dai giovani a cui si rivolge: ma è proprio per questo che un centro ha bisogno di animatori che mettano a servizio passione, professionalità, coraggio di fare le cose, spirito di iniziativa… e che soprattutto abbiano a cuore la vita dei giovani e puntino a valorizzare le possibilità di ciascuno, senza esclusioni di sorta…
Non si tratta in questo caso di far fare a qualcuno un cammino di fede, come certi maliziosi potrebbero sospettare; non si tratta di inserire il messaggio cristiano in una struttura laica voluta dal Comune. Questo non è catechismo. Questo è un discorso pratico. C’è una possibilità da cogliere e vorrei che fosse sfruttata nel miglior modo possibile, a vantaggio di tutti.
Giovanni Frulla

La Voce Misena
Pubblicato Lunedì 23 giugno, 2003 
alle ore 7:49
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