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Intervista doppia a Giorgio Mercuri e Walter Bastari: il valore delle differenze

Domenica 2 dicembre apre una mostra dei due pittori di Senigallia. Vernissage con performance estemporanee

Giorgio Mercuri e Walter Bastari

Inaugura domenica 2 dicembre alle 18.30, a cura della Fondazione A.R.C.A., presso la loro sede in via F.lli Bandiera 34, la mostra “Il valore delle Differenze”, con dipinti di Giorgio Mercuri e Walter Bastari. Si prosegue presso l’osteria Barberini in via Mastai: aperitivo cena e alle 21.30 le performance estemporanee di pittura di Bastari, Mercuri, un writer e un grafico… seguite da musica con dj. Abbiamo intervistato i due artisti per Senigallia Notizie.

Due stanze comunicanti. Due piccoli studi che lasciano aperto uno scorcio fra mondi e modus operandi completamente distinti, seppur legati dallo stesso spesso filo che il maestro Mario Giacomelli, con il suo passaggio, ha intrecciato. Giorgio Mercuri e Walter Bastari condividono lo studio in via F.lli Bandiera, nel centro storico di Senigallia. È lì che li incontro entrambi, curiosando fra due vite interamente costruite tutt’intorno e sopra al sacro piedistallo dell’arte.

Giorgio MercuriGiorgio Mercuri ha frequentato l’Istituto d’arte prima e il DAMS a Bologna poi. E da buoni “damsiani” (entrambi di formazione Barilliana) ci intendiamo subito.

“L’esame di Barilli l’ho dato 13 volte! Ogni volta, per la sezione monografica, gli presentavo la mia opera e puntualmente mi cacciava in malo modo. Ho provato anche a mettermi in coda con i contestatori dell’epoca per il “18 politico” (era il 1979 e Bologna, di storie di quegli anni, ne ha da raccontare!), ma lui, niente! Mi guardava per un momento e poi inveiva : “E lei… che ci fa qui? Fuori!”

Bologna, Roma, Milano, ma l’opera di Giorgio Mercuri resta legata ad un’unica terra: quella delle sue origini e dei suoi ritorni, quella nativa che, come una vera madre, è sempre e solo una. I paesaggi dell’entroterra marchigiano, i suoi fazzoletti di terra e vegetazione che ricoprono come un patchwork le discrete colline di infiniti colori. Colori caldi e vividi, come bagnati dopo una pioggia estiva in pieno giorno, mai tentati da quell’aridità che troppo spesso il soggetto “terra” si porta appresso. I contorni e i confini ben marcati, piccoli appezzamenti di terreno scuro che al secondo sguardo si rivelano nel pieno della loro sensualità, come scorci di un corpo di donna adagiato e confuso fra le onde.

Praticamente la tua vita intera corrisponde sino ad ora al tuo stesso percorso artistico. Ma ti sei sempre dedicato al paesaggio marchigiano? Se non erro, hai collaborato in Rai come scenografo, anche in quel caso le colline locali erano il tuo segno distintivo?

Sempre… e da sempre! Sin dal 1979/80 ad oggi le colline della mia terra restano fonte inesauribile di ispirazione. Anche occupandomi di scenografia per la trasmissione Rai “Filo d’Arianna”, o per lo spot dedicato all’obiezione di coscienza del Consiglio dei Ministri, il paesaggio è sempre stato la mia prerogativa. Certo, poi mi è capitato di dover realizzare lampade o altro, ma di fatto sono restato fedele ai miei pannelli paesaggistici.

Come lo spieghi quest’amore così forte e duraturo?

Ma perché… guarda che terra che abbiamo! Come fai a non innamorartene! Ogni colle è quello Leopardiano! Artisti, musicisti, poeti… abbiamo un territorio, un paesaggio talmente ricco e mutevole che non può non ispirarti Arte! È la nostra terra, la nostra madre, per questo inserisco anche riferimenti sessuali femminili o fallici, come ad esempio i “pali della cuccagna” che da sempre fanno parte della nostra tradizione. Una terra che è continua e perpetua metafora della vita, quindi comprende tutto ciò che di essa fa parte: la mia vita è la mia arte, quindi la mia terra.

Quanto peso ha l’influsso di Mario Giacomelli nella tua opera?

Mario… è come la terra delle Marche. Osservo con i miei occhi lo stesso paesaggio che lui ha immortalato in fotografia e provo a fare altrettanto, traducendolo però in pittura e con i giusti colori.

Fra le tue tante mostre, ti va di raccontare quelle più strane o che meglio ricordi?

Potrei partire dalla mia prima personale alla mediateca di Bologna. Era curata da Alfredo De Paz in collaborazione con Giuseppe Liotta. Quest’ultimo, all’epoca dei fatti era in arresto, quindi arrivò con tanto di scorta armata che provvide a togliergli le manette davanti alla sede della mostra. Poi ho fatto parte del gruppo de “Gli enfatisti” promosso da Francesca Alinovi* insieme ad Andrea Pazienza e molti altri. Praticamente sono l’unico sopravvissuto… sono tutti morti per overdose o per infarto indotto da un tenore di vita non fra i più salutari! Molti anni dopo ho tenuto una personale alla galleria “Astuni” di Fano dal titolo “Strisce bianche” (ride N.d.R.) voluta da Marina Ripa di Meana per presentare il suo libro “Cocaina a colazione”. Secondo lei, le mie opere erano il naturale seguito di quanto narrato nel suo libro… e delle storie assurde intrecciate con altri artisti… ma queste non credo sia il caso di raccontarle! Fra le ultime imprese c’è la mia convocazione alla Biennale di Venezia presso la sezione di Urbino. Di questa collettiva ti posso raccontare che i giornalisti l’hanno definita “un’accozzaglia di roba”. Sgarbi dapprima ci ha difesi, poi, rimasti soli, se l’è presa con noi per le opere esposte… ma che lui stesso aveva scelto!

*Francesca Alinovi era assistente di Renato Barilli, uccisa da un suo allievo e amante nel 1983. Il caso è passato alla storia come il “delitto del DAMS”.

Hobbies, ne hai?

Mmm… droga e alcool si può dire? (ride N.d.R.).

Musica?

Volendo…

Ok, lasciamo stare… Senti, la prossima mostra?

Quella di domenica 2 dicembre alla Fondazione A.R.C.A di Senigallia dal titolo “Il valore delle differenze” che farò insieme a Walter Bastari! Sarà anche arricchita da una performance pittorica a otto mani! Praticamente, dopo l’inaugurazione in galleria ci si sposta tutti all’Osteria Barberini dove, Walter, io ed altri due artisti nostri amici, ci confronteremo in un’estemporanea. Sarà bellissimo!

Walter BastariLa nostra discussione viene interrotta da Walter Bastari che, intento a dipingere nella stanza adiacente, ha appena portato a compimento una piccola striscia di tela. Grovigli di corpi e di contesto cadenzati e distinti esclusivamente dai ritmi e timbri che il colore detta: un insieme di armonico movimento dove, anche quelle che appaiono come stonature, sono nient’altro che mezzi giustificati dal fine pittorico in cui, forme morbide e nervose allo stesso tempo, si aggrappano a un concetto sempre compiuto.

“Questo si sta tuffando in piscina, mentre questo corpo centrale è una statua da giardino . Se fossimo in estate avresti colto immediatamente il soggetto, ma siamo in inverno e non è di certo il periodo giusto…”

Walter, ti va di parlare un po’ di come hai cominciato a dipingere? Quando ti sei reso conto che volevi fare questo nella vita?

Ah, da subito! Appena nato! Sono nato col pennello, io! A due, tre anni mio nonno mi ha dato in mano i colori e non ho più smesso! A sette anni ho fatto la mia prima mostra… sono rimasto folgorato quando ho visto la mia opera esposta insieme a tante altre, che bello che è stato!

A sette anni?!? Dove?

A scuola! Ero stato selezionato per una mostra alla Pascoli e io… feci Peter Pan! Ero così soddisfatto di quello che avevo fatto… Ricordo che la maestra disse: “Ma questo qui non ha il senso delle proporzioni! Proprio Peter Pan è andato a fare?”. Eppure a me non interessava, perché volevo volare, proprio come fa Peter Pan!

E quand’è che hai incontrato Mario Giacomelli e stretto quel fruttuoso e duraturo connubio che tutti conosciamo?

Aspetta… ancora c’è tempo!

Scusami, hai ragione… Continua a raccontarmi…

Dunque… verso i tredici anni o poco più sono andato a bottega da Ivo Pompili. All’epoca per imparare un mestiere si faceva così. Lì copiavo e copiavo, mentre Ivo continuava a lavorare, io dovevo riprodurre le sue opere. Poi, un giorno, ricordo che feci di testa mia e realizzai una figura istintivamente, così, di getto… e ma lì, ho capito anicò! Intanto, mio padre era andato a parlare con Sandro Bedini che gli disse di mandarmi a scuola a Fano, perché stare a bottega non mi sarebbe servito granché. Così iniziai a studiare all’Istituto d’Arte di Fano. Fra i miei insegnanti c’erano Arturo Bacchiocchi, Emilio Furlani e Candelaresi, poi finalmente, a diciotto anni feci la mia prima, vera mostra! Era un concorso dedicato all’arte sacra e in giuria, insieme a Bonazza c’era lui: Mario. Ricordo che vedendo la mia opera dissero entrambi di aver scovato una promessa dell’arte!

Quindi è da lì che è nato il vostro sodalizio? E quand’è che ha deciso di dedicarti una delle sue serie più famose?

Sì, da lì ha cominciato a maturare una profonda amicizia. Io lavoravo nel bar lungo i portici e lui, quando aveva qualche problema o non stava bene, si veniva a sfogare con me. Parlava, parlava… ed io lo ascoltavo sempre, in silenzio, senza interromperlo e senza esprimere giudizi o pareri. Gli portavo le mie tele in tipografia. Lui le guardava, le rimirava, poi mi domandava il prezzo e me le comprava. Mi diceva: “Beato te che sei in grado di dipingere! Tu hai una tela bianca da riempire, io no! Io posso solo immortalare qualcosa che esiste già…”.  La sua serie fotografica me l’ha voluta dedicare molti anni dopo, quando ne avevo ben quarantasei…

Pensi che il fatto che lui abbia creduto in te sin dal primo incontro sia stata una spinta per continuare a fare questo mestiere?

Sì, sicuramente. Mi ha aiutato anche. Soprattutto quando decise di dedicarmi una mostra a Palazzetto Baviera. Da lì in poi la gente cominciò a guardarmi con occhi diversi e a dare il giusto valore alle mie opere. Ho sempre continuato a fare questo, pur tirando avanti con altri lavori… pensa! Ho lavorato anche in radio!

Veramente? Hai fatto anche il dj?

No! Facevo le pulizie e il tuttofare! Tanto che lì mi diedero il soprannome di “Walter Carret”. Per tre anni l’ho addirittura usato come pseudonimo! Però, ad ogni mostra, mi riempivano di complimenti…

Concludiamo, perché è ora di pranzo e Walter deve mangiare la sua porzione di prosciutto: “Puoi dire che ho il vizio del prosciutto! È l’unica cosa che posso mangiare, dato che fra i miei hobbies c’è quello di tenere sotto controllo il colesterolo e i trigliceridi!”

Prima di salutarci, Giorgio Mercuri mi racconta della sua visita nello studio di Mario Schifano.

“Si è fatto fare una frittata di circa sette uova dal suo cameriere, ci ha messo dentro una salsa l’ha arrotolata e se l’è mangiata in due bocconi! Poi ha preso il pennello e ha cominciato a bestemmiare davanti alla tela!”

In quel momento, Walter mi si avvicina muovendo il dito in segno di negazione: “Mentre si dipinge, non si bestemmia. L’arte è sacra e mai niente deve essere maledetto al suo cospetto…”

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