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David “Zanza” Anzalone si ritira dalle scene

"Oggi il mestiere teatrale non è più per me fonte di dignità, sia economica che umana che artistica". E si toglie molti sassolini...

David Anzalone "Zanza"

Ringraziando la stampa per l’accoglienza, voglio lanciare una riflessione sul sistema teatrale italiano cercando di centrare due obbiettivi.

Il primo è dare un contributo personale a chi in questo periodo sta tentando di organizzare dal basso i lavoratori dello spettacolo che, spero, possano unirsi ad altri movimenti, creare un fronte comune e ottenere quello che ci spetta, cioè diritti, lavoro e dignità.

Il secondo obbiettivo, avendo sempre basato la mia professione sul dialogo con voi Spettatori/Lettori, è quello di rendervi nota la mia decisione di chiudere questa lunga fase della mia vita legata al Teatro. Infatti, pur avendogli dedicato professionalmente 20 anni, oggi il mestiere teatrale non è più per me fonte di dignità, sia economica che umana che artistica.

Con la libertà che deriva da questa scelta chiara e trasparente, libertà accompagnata dalla conoscenza maturata sul campo, inizio questo contributo con un je m’accuse. Sì, mi accuso di aver fallito nell’obbiettivo di creare un’alternativa radicale al sistema teatrale cancerogeno esistente nella mia regione, le Marche.

Fin dall’inizio, ho concepito la mia attività nel mondo della Cultura come un mestiere intellettuale a 360°, cioè come un’unità dove Arte, Politica e Lavoro fossero inscindibili e si alimentassero a vicenda. Lo scopo è sempre stato, da una parte, quello di crearmi sussistenza in maniera libera e indipendente, e dall’altra, quello di riuscire a rendere la Cultura un’impresa cooperativa pubblica a servizio del Pubblico.

Negli anni, però, ho constatato sulla mia pelle che, se un individuo pensa solo alla carriera personale [come io ho fatto per anni…] ed è fonte di profitto per l’industria dello spettacolo, va tutto più o meno bene… Ma se, invece, [come ho fatto io in seguito…] quello stesso soggetto pratica il lavoro intellettuale come strumento per trasformare la realtà, si trova costantemente infilzato da un sistema mortale che io chiamo “a tridente”.

Questo tridente è formato da:

1) Il Sistema Teatrale [Nazionale e Regionale]:

Non raccontiamoci favole‼ A livello Nazionale, la pandemia ha solo fatto esplodere, rendendolo visibile, ciò che era già in atto da decenni: mancanza di statuti e tutele che riconoscano e regolino la categoria, anarchia, strapotere dei produttori privati e della televisione, investimenti solo se creano iper-profitto, FUS inaccessibile, strutture regionali bulimiche e tanto tanto altro… L’unica cosa certa è che la crisi si risolverà come ogni altra crisi all’interno del capitalismo: chi più ha, avrà di più e, chi meno ha, avrà di meno.

A livello Regionale, il mio paradigma sono appunto le Marche, la situazione è drammatica. In questa regione, seppur alla base ci siano energie estremamente vitali che operano da sempre nel territorio o che sono volute ritornare, queste energie vengono puntualmente logorate, sfinite, frustrate, dall’anarchia individualista di un sistema di potere teatrale micidiale. Esso, da sempre in mano ai soliti ras che ne abusano violentemente con una sorta di compiacimento quasi sessuale, alimenta servitù, corporazioni, precarietà e strangola gli artisti e gli artigiani della nostra Regione, come fossero vittime sacrificali necessarie all’orgia dello status quo. Il sistema marchigiano è basato su tre anomalie.

– La prima anomalia è che l’unica struttura di produzione teatrale marchigiana finanziata dallo Stato (MarcheTeatro), sostanzialmente, non produce spettacoli marchigiani perché ritiene che nelle Marche non ci siano artisti e prodotti di qualità.

– La seconda anomalia è che la struttura che produce teatro e la struttura che distribuisce teatro (Amat) non solo sono due entità diverse, ma non sono in collaborazione, non dialogano per costruire un futuro per tutti e, anzi, non perdono occasione per “competere” tra loro.

– La terza anomalia è che, se anche una struttura indipendente, con mille difficoltà e rischi, riesce ad auto-prodursi perché si è costruita negli anni un proprio pubblico, riportando a teatro migliaia di persone, seppur quella struttura abbia dimostrato estrema professionalità e soddisfatto gli spettatori, non viene fatta circuitare in maniera seria e strutturata nelle stagioni culturali e teatrali.

2) Il Sistema Politico [Governo regionale e Amministrazioni locali].

L’assenza di politiche culturali lungimiranti e strutturali è accompagnata da una strategia del “ritorno elettorale e finanziario” che fa di ogni investimento alla cultura dal basso un gioco di “minimo sforzo per una massima resa”. Questa ottica incentiva rapporti “privati” fra singolo operatore culturale e presidente/sindaco/assessore di turno, rapporti che creano ‘relazioni pericolose’ e stallo. Infatti, se anche un determinato progetto verrà finanziato, essendo un investimento minimo e “controllato”, non avrà la forza di diventare strutturale. E, aggravante morale, all’operatore verrà inibita la volontà di protestare perché, gli si dirà: ‘comunque hai ottenuto qualcosa, molto più di tanti altri’.   

Altro gravissimo limite delle Amministrazioni locali è che, non volendo fare “torto a nessuno”, si rifiutano di fare scelte chiare in favore dei professionisti equiparandoli agli operatori dilettanti. Anche questa è una scelta, sì, ma che dimostra tutta la loro ignoranza gretta e spocchiosa in materia di Cultura. Il mettere tutti “nello stesso calderone” non fa bene a nessuno e affossa le possibilità di quei professionisti che, tornati nelle proprie Regioni con la volontà di spendersi per “innalzare il livello”, si ritrovano, per spirito di servizio, a lavorare come bestie da soma e, spesso, senza riuscire nemmeno a ottenere un minimo compenso alla prestazione effettuata.

Terzo limite, gli spazi. Molto spesso, le Amministrazioni locali, pur avendo spazi consoni, creati proprio per la cultura – vedi i teatri -, sghignazzano della possibilità di dare quei luoghi in gestione alle realtà professionali radicatesi nel territorio. Colpevoli di apatia e totalmente privi di capacità visionaria, molti Amministratori preferiscono non rischiare, evitando ogni tipo di scelta innovativa perché richiederebbe troppo coraggio e troppo sudore. Il risultato è una decadenza nichilistica e cinica dove, da una parte, si assiste al mantenimento a caro prezzo di strutture sotto-utilizzate e quindi anti-economiche. D’altra parte, si disincentiva la nascita di giovani cooperative culturali che avrebbero importanti ricadute sociali, culturali e lavorative. Il tutto ovviamente annaffiato dalle solite lacrime del politico-coccodrillo che chiosa con la noiosa retorica da quattro soldi del ”vorrei ma, sai, la burocrazia…”. E questi coccodrilli sono gli stessi che appoggiano o hanno nominato i burocrati-ras, di cui al punto 1, che ormai – senza ritegno e senza controllo di qualità – fanno il bello e il cattivo tempo nella cultura teatrale marchigiana e non solo.

3) Il Sistema delle Attrici e degli Attori.

Parto sempre dalla mia regione, le Marche. Se una struttura come MarcheTeatro si permette di dire che non è motivata a produrre spettacoli di realtà marchigiane perché non ci sono professionisti seri e di qualità nella regione, questo mette in luce due cose:
a) l’ipocrisia e la pigrizia di quella struttura perché, anche se fosse vera la sua affermazione, dovrebbe essere essa stessa a coltivare professionalità, serietà e qualità con i membri del territorio (piccolo dettaglio che a volte sfugge: sono strutture finanziate dallo Stato proprio per fare anche questo!);

b) essendo MarcheTeatro una struttura solida e con una cultura imprenditoriale potentissima, la sua affermazione non può essere “snobbata” ma, anzi, va presa in serissima considerazione perché, anche se può far male ammetterlo, tutti i torti non li ha. Bisogna ri-conoscere per conoscere. E allora, occorre essere crudeli con noi stessi per conoscere la realtà e per sperare di poterla migliorare. Devo riconoscere che anche la ‘mia categoria’ – i cosiddetti lavoratori dello spettacolo -, in Italia e nelle Marche, è infestata da veri e propri cancri, quali la hybris (credere di essere “nati imparati”), l’individualismo, l’incoscienza politica, il provincialismo, l’incapacità imprenditoriale, l’ignoranza del sistema legislativo, la mancanza totale di volontà e know-how per costruire seriamente delle imprese cooperative. La conseguenza è che la gestione delle realtà teatrali diventa prima o poi velleitaria e privata, cioè condotta non da veri gruppi di lavoro ma da singoli, da “famiglie” o, peggio, da “coppie di amanti”. Ciliegina sulla tortaː l’idea, dilagante e tossica, che l’arte sia uno “sfogo” personale-estetico, non un atto di sussistenza economica che la trasforma automaticamente in un atto politico/esistenziale. Ma il vero problema è che tutti sono d’accordo su questa diagnosi, però la fanno solo sugli altri e mai a se stessi. Si riconoscono le suddette patologie nel prossimo e, per affermare la propria sanità (diversità fittizia!), si mettono subito in gioco due strategie suicide: sfiducia nell’altro e competizione col vicino di casa. Ecco perché, secondo me, l’affermazione fatta da MarcheTeatro deve far riflettere. Ecco perché tengono la ‘categoria’ al guinzaglio. Parafrasando Malcolm X, ci comportiamo da cani da cortile e non splendidi randagi che si muovono in branchi.

Credo che il mondo del Teatro necessiti sempre più di professionisti veri e il Teatro come professione si può dire di farlo solo se dà realmente dignità, sussistenza piena e se è l’unica fonte di reddito (e tutto il resto è fuffa!). Non c’è nulla di più dannoso per la ‘categoria’ dei lavoratori dello spettacolo/cultura di tanti, troppi, personaggi che ‘giocano a fare gli artisti’ spacciandosi per ciò che in realtà non sono, cioè professionisti.

Schiacciato da questo tridente, il professionista muore e la sua arte si impoverisce piano piano fino a scomparire. Alternativa? Emigrare oppure chinare la testa, smembrando l’unità del lavoro intellettuale (arte, politica e lavoro), “specializzarsi” su una sola delle tre componenti e diventare parte del Tridente.

Non ho voluto accettare questa alternativa e, negli ultimi 10 anni, ho cercato di costruire una prospettiva diversa. Seppur commettendo molti errori, dei quali me ne assumo la responsabilità, ho lottato con tutto me stesso contro ogni punta del tridente allo scopo di piantare semi che permettessero di “sentire il meraviglioso profumo della libertà e non l’olezzo del sistema”, per citare Borsellino. Però, siccome non ho mai voluto vivere nell’illusione né nel martirio [sono le idee che devono morire per l’uomo, non il contrario‼], ammetto di non esserci riuscito ed è il momento per me di tornare ‘a vita privata’. Senza nascondere dolore e rabbia… Ma con la speranza che ci sarà qualcuno che innaffierà quei semi.

E lo dico in maniera serena, sapendo che le battaglie fatte non si perdono mai.

Colgo l’occasione di farVi io, questa volta, un applauso di gratitudine per aver sostenuto da sempre la mia attività culturale e artistica, ricordando che il Pubblico è sovrano e senza di lui non c’è Teatro né Tridente, perciò…

Usate bene questo potere! Sipario.

da Zanza – David Anzalone

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