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La pena di morte al cinema con Joe Pesci

La rubrica Screenshot riflette sul rapporto tra cinematografia e pena capitale

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Joe Pesci

Io, lo avrete capito, sono un’amante  della commedia..
Da vera italiana doc e da appassionata del nostro cinema posso affermare, munita di piena convinzione e di esempi incontrastabili, che la commedia ha la capacità di trattare con eleganza rispetto ed efficacia qualsiasi argomento, lo abbiamo visto con il Nazismo e l’Olocausto in Benigni, con la fame e la povertà in Totò, con la guerra in Monicelli, e tanto altro ancora.


La commedia, e non solo quella nostrana, ha da sempre un potere che la rende impareggiabile ed inarrivabile dalla tragedia prima e dal dramma poi, ed è il famoso Castigat ridendo mores, ovvero la capacità di far riflettere sino arrivare al pianto, attraverso quell’amaro che si deposita in bocca dopo un’abbondante risata.

Oggi ho scelto di parlarvi di un tema molto caldo, anzi rovente, che fortunatamente non ci coinvolge come cittadini italiani, ma come razza umana, o addirittura come membri di una civiltà che si proclama erudita e all’avanguardia: la pena di morte.

Essendo questa che tengo settimanalmente una rubrica di cinema, fino a prova contraria, ho il dovere di erudirvi, per quanto possa, riguardo quest’arte, fornendovi nozioni e consigli utili su film, registi e le restanti fette della famosa torta di nitrocellulosa. A tal proposito, dopo un’accurata selezione, ho scelto di consigliarvi un carinissimo film del regista britannico Jonathan Lynn, con un cast americano che ci riguarda però molto da vicino… Gli interpreti selezionati eccellentemente sono il mitico Joe Pesci, la bellissima Marisa Tomei, che per questa interpretazione vinse l’Oscar, e Ralph Macchio, che tutti ricorderete per essere stato il famoso Daniel LaRusso in The Karate Kid. Tutti e tre di origini italiane.

Il titolo della pellicola, uscita nel 1992, è Mio Cugino Vincenzo, un’ottima commedia che dietro simpatici intrecci, scambi di persona, gaffe e dialoghi accattivanti, nasconde la piaga che scalfisce quel bellissimo stato che è l’Alabama: la pena capitale.
Chissà che forse i Lynyrd Skynyrd cantando “Sweet Home Alabama where the skies are so blue, Sweet Home Alabama, Lord, I’m coming Home tuo you” non stessero proprio riferendosi alle ultime parole di un condannato pentito che prega per l’ultima volta il suo Dio?

Se poi rimarrete estasiati dal tema e vorrete salire un po’ di livello, raggiungendo corde più drammatiche, vi consiglio il film Sacco e Vanzetti, molto meno recente del sopracitato ma con un cast d’eccezione formato da Gian Maria Volonté, probabilmente il miglior attore che il nostro cinema abbia mai avuto, e Riccardo Cucciolla. Avvincente il tema, la drammatica ed ingiusta punizione esemplificativa ai due anarchici italiani che l’America portò avanti facendo scempio della sua democrazia e della sua decantata superiorità, e sublime la sua colonna sonora, considerata una tra le tre più celebri composizioni di Ennio Morricone.

L’uomo è superiore ad una corda, ad una lama e ad una canna di fucile. Inutile parlarne, concorderete che sia anche superiore ad un liquido letale strizzato in vena, all’umido legno di una sedia e alla corrente elettrica, seppure questa impiegata per altri utilizzi sia incontestabilmente utile alla vita.
Allora, credo che, se proprio l’America, e gli altri Stati che come lei non possono proprio a fare a meno della pena di morte, come l’Italia non può farne della pizza e della bustarelle e la Francia delle sue auto adulazioni, beh, quantomeno dia l’opportunità al condannato a morte di essere ucciso da un altro essere vivente di sua paritaria condizione.
Che gli sia dato l’agio di essere strozzato, graffiato, malmenato da un suo pari, mi sembra più corretto e meno imbarazzante, ma mi è poi legittimo credere che il legale assassino possa, in conseguenza all’omicidio d’ufficio eseguito, sentirsi a sua volta un essere bestiale e disumano.
Forse è proprio per questo che si nascondo dietro un inanimato esecutore, dietro un fucile o un bottone, dietro una leva o uno stantuffo. Forse perché non ci si sporca le mani da soli ma in compagnia, forse perché dietro la parola collettività, o opinione pubblica, o legge di stato, sentono loro stessi più legali e meno assassini, ma la realtà è che finché sarà lo Stato a decidere un’ esecuzione capitale, ogni individuo membro di quello Stato dovrà per diritto e per dovere definirsi un assassino”.

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