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Guerra in Ucraina, Mangialardi: “La diplomazia e i diritti umani al centro della nostra azione”

Le riflessioni del consigliere regionale Mangialardi

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Onoranze Funebri F.lli Costantini
Vladimir Putin

Sembrava impossibile, ma a 77 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, il mondo intero rischia di trovarsi di fronte a un nuovo conflitto su scala globale dalle conseguenze che neppure vogliamo immaginare per il futuro dell’umanità.

Io credo che oggi deve suonare forte, netta e chiara la condanna nei confronti dell’ingiustificabile attacco militare portato dalla Russia all’Ucraina, e il nostro pensiero, la nostra solidarietà, non possono non andare alle migliaia di vittime civili che già si contano e ai milioni di profughi che cercano riparo dalle atrocità della guerra.

Detto ciò, e senza volerci prenderci in giro, siamo in grado affermare che nel corso dell’ultimo ventennio, fino ad arrivare alle odierne drammatiche giornate di guerra, l’Occidente, nell’articolazione dei singoli interessi nazionali così come nell’azione delle sue organizzazioni politiche, economiche e militari sovranazionali, abbia mosso davvero nella direzione di prevenire l’attuale inquietante scenario?

So bene quanto sollevare dubbi di questa natura possa costare etichette poco gradite. Ma io, che sono sempre stato un convinto europeista, uno strenuo sostenitore del processo di integrazione politica del Vecchio continente, che non ho mai manifestato simpatie per l’autocrazia cresciuta e rafforzatasi in Russia intorno alla leadership di Vladimir Putin, oggi credo di avere tutto il diritto di pormi simili domande.

Sicuramente ce l’ho molto di più di chi per anni ha sostenuto in Europa l’immagine di Putin, di chi, come Giorgia Meloni, ce lo ha indicato come il “difensore dei valori europei e dell’identità cristiana”, di chi, come Matteo Salvini, condividendo il medesimo giudizio, più rozzamente proponeva di scambiarlo con il presidente Mattarella.

Perché Putin, oggi seppellito in un mare di bandiere ucraine nelle bacheche social di tanti militanti e dirigenti della Lega e di Fratelli d’Italia, ha rappresentato un punto di riferimento politico e culturale per tanti movimenti e partiti della destra sovranista, conservatrice e xenofoba europea. Una stima peraltro non solo ricambiata, ma probabilmente anche ripagata, letteralmente (ma su questo vedremo lo sviluppo delle inchieste giudiziarie ancora aperte).

Ho il diritto di chiedermi se forse, anteponendo gli interessi strategici dei nostri Paesi alle gravissime violazione democratiche che hanno contraddistinto la Russia putiniana – dalla repressione dell’opposizione politica all’uccisione di centinaia di giornalisti – non abbiamo rafforzato quell’autocrazia, cooptandola nei consessi internazionali.

Ma, allo stesso tempo, mi chiedo e vi chiedo anche se noi europei, anziché rafforzare politiche di cooperazione con la Russia, magari ancorandole a reali processi di democratizzazione volti a far crescere libertà e i diritti all’interno di quell’immenso Paese, non abbiamo commesso errori nell’assecondare un costante allargamento a est della nostra alleanza militare. Un allargamento frutto, a mio modo di vedere, proprio di chi ha scelto di anteporre la competizione globale alla cooperazione tra la Russia e i popoli europei.

Dico tutto questo perché ora, nel contesto dato, occorrono soluzioni urgenti per fermare la guerra in corso e, soprattutto, impedire il suo estendersi. E, a tale scopo, è necessario bandire ogni ipocrisia. Quelle soluzioni non possono avere che un’unica sede, quella diplomatica. Per tale motivo mi lascia piuttosto perplesso l’accordo raggiunto in Parlamento sulla possibilità di inviare armi in Ucraina per armare la popolazione, così come i costanti appelli del presidente ucraino Zelenski per un coinvolgimento della Nato. Coinvolgimento che, inevitabilmente, porterebbe il conflitto ad assumere una dimensione mondiale.

Nessuna guerra può essere fermata con la proliferazione degli armamenti, che rischia di alimentare solamente morte e distruzione. Io credo che il nostro compito, oggi, è chiedere al governo italiano di farsi promotore di Europa di un’iniziativa diplomatica che, purtroppo, fino a oggi è drammaticamente mancata, a differenza di quanto messo in campo da altri Paesi come la Cina, la Turchia e Israele.

Un’iniziativa diplomatica urgente e necessaria, che anzitutto fermi la strage di civili rafforzando la politica dei corridoi umanitari.

Un’iniziativa che, allo stesso tempo, ponendo sul tavolo delle trattative l’immediato ritiro delle truppe russe dall’Ucraina riconosca la necessità di allentare le tensioni tra l’Europa e la Russia attraverso il riconoscimento della stessa Ucraina come stato neutrale, che come sappiamo bene rappresenta una condizione essenziale per fermare il conflitto.

Un’iniziativa che eviti anche al popolo russo, che di certo non è in guerra contro il resto del mondo e nutre una forte vocazione europea, di essere schiacciato verso l’Asia e la Cina dalla politica del suo governo. Lo dico anche pensando agli enormi danni che questa opzione sta già creando alla nostra economia (e quando dico nostra parlo anche e soprattutto dell’economia marchigiana, tremendamente colpita dalle limitazioni imposte al nostro export, per cui credo che la Regione Marche debba attivarsi offrendo concreto sostegno).

Un’iniziativa che possa rappresentare anche un’occasione per ridefinire il modello di Unione Europea che abbiamo conosciuto fino a oggi.

Ho sentito dire da quasi tutti i leader europei che questo tragico evento cambierà radicalmente l’Europa. Ho sentito parlare di difesa comune e autosufficienza energetica (argomenti peraltro in discussione da anni). Bene, ma sulla scia di quanto stiamo vivendo oggi, l’Europa può e deve cambiare anche dal punto di vista sociale e, in particolare, nel suo modello di accoglienza di coloro che scappano dalle guerre.

La generosa prova che oggi i Paesi europei stanno dando nei confronti dei profughi ucraini (che qualcuno, con disprezzo di ogni idea di umanità, ha definito veri profughi), non può e non deve rappresentare una parentesi, ma divenire prassi acquisita. Le politiche di accoglienza non possono essere determinate dal colore della pelle.

Purtroppo non mi sfuggono le gravi discriminazioni, spesso sfociate in violenza, che si stanno consumando al confine del polacco-ucraino, dove i profughi in fuga dalla guerra di etnia araba o africana vengono respinti, malmenati e umiliati dalle autorità polacche e ucraine, impegnate a dare la precedenza ai bianchi autoctoni.

Discriminazioni e violenze che ci sentiamo in dovere di condannare duramente. Perché no, non è questa l’Europa che vogliamo e, se crediamo davvero che queste settimane di guerra, pur nella loro drammaticità, possano avere un effetto costituente rispetto alla futura società del nostro continente, dobbiamo avere il coraggio di dire che, così come la guerra, neanche quelle discriminazioni e quelle violenze non ci appartengono.

 

Maurizio Mangialardi
Capogruppo regionale del Partito Democratico – Assemblea Legislativa delle Marche

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