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Senigallia: Giorgio Silvestri, “un signore, e un uomo buono”

Il ricordo di Gaspare Battistuzzo Cremonini: "ha insegnato che la ricerca scientifica deve essere rivolta al miglioramento della vita"

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Giorgio Silvestri

Sfogliando uno dei libri scritti dal Professor Giorgio Silvestri, mancato pochi giorni fa all’età di 94 anni, ritrovo questa curiosa citazione: la vita è meravigliosa.

Il riferimento è al noto film degli anni ’40 e lo stesso Giorgio pose il nome del regista – Frank Capra – quale estensore della frase.
Davvero meravigliosa considerava la sua vita Giorgio Silvestri, piena di soddisfazioni e, come molte vite cominciate prima del diluvio della Seconda Guerra Mondiale, colma di avventure difficilmente immaginabili nel nostro evo che tutto tende ad omologare.
Figlio di un ingegnere laureato al prestigioso Regio Politecnico di Torino, a causa della prematura scomparsa del padre il piccolo Giorgio venne affidato alle cure della potente famiglia della madre, Nea Cremonini.

Era un’epoca di grande opulenza, quella dell’infanzia di Giorgio. Suo nonno, Guglielmo Cremonini, gestiva i dazi consumo di Senigallia e di molti altri comuni insieme al fratello Giovanni, ex ufficiale dei Bersaglieri dal grilletto facile e mente assai portata alle questioni economiche. I due Cremonini erano coinvolti in molte iniziative finanziarie in città: azionisti della Cassa di Risparmio di Jesi, erano personalità importanti della Banca Agricola Commerciale Senigalliese del conte Raniero Marcolini nonché, naturalmente, della Cassa di Risparmio di Senigallia, fondata da quel nobile Domenico Benedetti Forestieri col quale di lì a poco si sarebbero anche imparentati.
Questi agi e questo privilegio fin da subito fecero parte della vita di Giorgio, lo si percepiva anche molti anni dopo, dal suo spesso eccentrico modo di esprimersi così comune e tipico di taluni contesti sociali, ma di rado erano da lui ostentati o esibiti, forte di un pudore quasi vittoriano che gli permetteva di ricordare, talvolta, le vacanze in Svizzera a Vevey, al seguito della bambinaia Fräulein Tahler o il ricevimento dato a Villa Cremonini per il Principe di Piemonte nell’estate del 1933, ma sempre con discrezione: frammenti di vita provenienti da un mondo scomparso.

Una sincera venerazione Giorgio la provava per lo zio, Manlio Cremonini, industriale e gerarca fascista tra i promotori della Rotonda a Mare e inventore – insieme all’amico Mario Carafòli, – dello slogan Spiaggia di Velluto. Ciò che però Giorgio amava soprattutto ricordare di Manlio era la sua coerenza: i due anni di campo di internamento in Germania, presso Wietzendorf, per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale ed aver mantenuto il giuramento di ufficiale dei Granatieri di Sardegna al re Vittorio Emanuele III, dopo quel fatidico 8 settembre 1943.

Ma Giorgio Silvestri aveva anche un lato divertente, un’ironia acuta e sottile che spesso però non tutti coglievano. ‘Quello lì poveretto è sulla rampa di lancio’, usava dire di chi magari era prossimo a passare all’altro mondo; una sera che eravamo rimasti chiusi in cimitero – prima che la provvidenziale ronda d’un custode ci salvasse da una altrimenti ben macabra nottata, – Giorgio mi si era rivolto, con quel suo mezzo sorrisetto sornione, dicendo che avessi voluto, m’avrebbe di buon grado ospitato nel suo ‘monolocale’, con ciò intendendo la Cappella Cremonini che a tutt’oggi si trova al Cimitero delle Grazie.
Usava, forse di proposito, chi può dirlo, un linguaggio ostinatamente rétro nel quale alternava espressioni in disuso, come il ‘non ho inteso’ in luogo del nostro moderno ‘non ho capito’, a curiose dizioni anni ’30: come quando parlava della zia, Eugenia Benedetti Forestieri, che ‘lei sì che aveva davvero del sangue bleu!’

Profondamente appassionato della sua professione, Silvestri era uno scienziato esigente – aveva lavorato a Parigi, nei ’50, insieme al famoso immunologo e futuro Premio Noble Jean Dausset, – che però amava soprattutto definirsi medico, come a dire che la ricerca non è tale se non è rivolta al miglioramento della vita del nostro prossimo.

Ed è forse questo il miglior insegnamento che Giorgio ci lascia. Il privilegio, nel quale lui era nato, non vale nulla se non è soprattutto senso di responsabilità.

Conversatore amabile, era un apologeta del dialogo ben educato, rispettoso, un ascoltatore attento: ‘finisci pure il tuo pensiero’, usava dire, come se non si fosse accorto che il mondo intorno a lui, ormai, era piombato nell’epoca barbarica dell’interrompersi sempre a vicenda e del non ascoltarsi mai.

Un gran signore, direbbe qualcuno; per conto mio, credo che Giorgio apprezzerebbe di più esser ricordato come un uomo buono.

Gaspare Battistuzzo-Cremonini

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