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A Christmas tale – una storia di Natale

E se Babbo Natale bevesse whiskey?

Babbo Natale sulla sua motoslittaBabbo Natale arrivò nella villa nel cuore della notte sospinto dai gelidi venti del Nord che da giorni spazzavano l’Europa. Era giunto a bordo della sua motoslitta usata, dal momento che le sue renne di oltre sessantanni  da tempo facevano fatica a condurlo dignitosamente da Rovaniemi all’Italia attraversando tutto il continente.

Le aveva messe all’ufficio Pacchi della ditta.
Il tempo della meritata pensione slittava, è proprio il caso di dirlo, di anno in anno e l’agognata metà sembrava un’anguilla o meglio un salmone che guizzava via mentre pensavi di averlo stretto saldamente in mano.

Inoltre c’era la storica grana con gli ambientalisti della città fortemente contrari al fatto che si usassero quei poveri animali per trainare una slitta piena di pacchi condotta da un vecchio obeso di oltre centosettanta chili.
Ma gli ambientalisti della città si lagnavano, se è per questo, anche della sua motoslitta Polaris del 1981 che gli aveva regalato Marcus  il taglialegna, e che lui alimentava con un cocktail di benzina agricola e alcool denaturato creando ad ogni accensione una nuvola nera che impestava tutta Rovaniemi e mezza Lapponia.

Erano quegli stessi ambientalisti che si indignavano perché la gente cacciava la lepre bianca o il cinghiale e poi li vedevi strafogarsi  di ogni genere di leccornie a base di carni che facevano meno compassione.
Non aveva mai capito perché quella gente agitava cartelli a difesa della foca e poi si strafogava di pesce e pollame.
Come se ci fossero animali meritevoli di morire e altri di cui invece non fregava nulla a nessuno.
Trovava questo comportamento discriminatorio e razzista e quindi ipocrita e anche un po’ incoerente. Ma tutti gli ambientalisti sono ipocriti e incoerenti, specie quando agitano cartelli per la salvaguardia di qualcosa.

La villa era enorme, ma nascosta nel buio e circondata da un bosco dal quale spuntava solo il tetto. Come tutte le ville era posta sull’alto e dominava la città. Dalla notte dei tempi le ville patrizie, i castelli, le magioni dei signori sono poste sull’alto.
Forse le case dei ricchi sono in cima alle colline per non avere rotture di scatole, oppure per lanciare un chiaro messaggio di inarrivabilità alla plebe urbana.

La sua dote migliore era l’impercettibilità del passo unita ad una impensabile agilità. Saltò il cancello del villone e vide un Babbo Natale come lui che si stava arrampicando da una finestra di fianco. Era uno di quegli squallidi Babbo Natale finti da supermercato di bassa lega, che già da metà Novembre tristi casalinghe issano ai terrazzi per compiacere i pargoli di casa.
Lui li odiava.
Pensate a voi se il vostro capo mettesse in ufficio un vostro sosia inanimato con la faccia da imbecille, o se il benzinaio trovasse un manichino fatto a sua immagine e somiglianza che sta li in piedi a braccia conserte aspettando il cliente con la tuta della compagnia di petroli.
Vi salterebbero per aria i nervi.
Allora prese la scala, gli diede uno strattone e quando il Babbo Natale di pezza fu ai suoi piedi lo dilaniò con il cacciavite lasciandolo grondante gommapiuma al suolo.

Issò la sua scala e iniziò a salirla con in spalla il sacco coi doni.
Arrivò alla finestra che trovò stranamente già aperta.
Neanche a Palermo dormono con la finestra aperta a fine dicembre e questo lo insospettì alquanto.

Sempre col suo proverbiale passo felpato fu dentro, quando vide un ombra nell’immenso salone. Era un uomo sulla quarantina con una tuta nera ed un sacco come il suo che stava facendo incetta di argenterie, quadri e preziosi di ogni tipo. “Buonasera buon uomo” sussurrò Babbo Natale che non aveva paura di niente abituato com era alle scazzottate al Bar dei taglialegna di Rovaniemi.
L’uomo si voltò di scatto e per poco non gli prese un colpo.
Aveva sempre sospettato che Babbo Natale esistesse veramente da quella volta che, a otto anni, sognò di svegliarsi la mattina di Natale e di trovare Il Piccolo Chimico sotto l’abete del soggiorno.
Al risveglio lo trovò veramente assieme al Monopoli regalatogli dalla sua adorata zia.

Aldo, questo era il suo nome, aveva sempre atteso in fondo questo momento.
Era una di quelle cose che non sai mai se sono vere o frutto della fantasia come lo scudetto dell’Inter o il mostro di Loch Ness e quando le vedi davanti pensi che no, allora le favole non sempre sono puttanate raccontate per addolcire la pillola ai bambini.
Aldo e Babbo Natale si sedettero in soggiorno nel chiarore della luna e nel calore del caminetto spento da poco che la finestra aperta e i venti di tramontana non erano ancora riusciti a neutralizzare.
Aldo gli raccontò la sua storia di padre divorziato di tre figli, che aveva perso il suo posto in banca perché un giorno, sopraffatto dallo stress,  si era messo seminudo sulla cassa a ballare la lap dance con le carte da cinquecento euro infilate nelle mutande.
Probabilmente lo avrebbero pure perdonato se non avesse intonato una canzonaccia dove metteva in dubbio l’onorabilità della moglie del direttore.
Da allora faceva il fornaio la mattina, il muratore di giorno e il parcheggiatore in un night di periferia di notte.

La moglie era una dominicana conosciuta durante una vacanza che aveva vinto pescando il biglietto vincente  alla riffa del suo bar.
Un tempo bellissima era diventata una chiattona che divorava soap opera di El Puma e partite a burraco con le amiche, oltre ad ogni genere di aranciate, cocacole, arachidi e noccioline.
Quando lei gli disse che non lo amava più perché si era invaghita di un pusher boliviano, fu per lui quasi una liberazione se non fosse che il giudice si fece impietosire dalla sceneggiata della signora allenata da anni di telenovelas brasiliane e gli impose di pagare gli alimenti per oltre duemila euro al mese, e di sloggiare dall’appartamento sul quale gravava un mutuo quarantennale con rata indicizzata all’Euribor e che logicamente essendo la moglie disoccupata doveva pagare lui.

Per non parlare del pusher che dormiva abusivamente nel suo letto e faceva clandestinamente il padre dei suoi figli, figli che lui poteva vedere solo per due ore nei giorni dispari dei mesi pari.
Babbo Natale era un uomo dal buon cuore e dall’inguaribile ottimismo, temprato dagli inverni impossibili di Rovaniemi, quando le mani diventano due blocchi di ghiaccio e la barba diventa come un porcospino gelato.
Stavoltà però pensava che se non avesse avuto nel sacco solo decine di pistole giocattolo ma una Beretta automatica con proiettili veri, gliel’avrebbe volentieri porta col consiglio di puntarla alla tempia e premere il grilletto.
Si limitò a cercare qualche giocattolo per i figli di Aldo e gli resse il sacco dove il poveraccio mise cinque o sei quadri di insigni pittori d’avanguardia, tre o quattro pezzi pregiati di posaterie e argenterie varie, il televisore al plasma e tutto ciò che si poteva arraffare in quella casa di ricchi da fare schifo.

Dai vetri della finestra, ora chiusi, entrava il bagliore bianco di un alba opalescente e tristissima. Aldo e Babbo Natale sprofondavano sfiniti nel divano Frau dell’immenso salone. Si versarono nei bicchieri Swaroski un whiskey invecchiato 12 anni e festeggiarono l’arrivo del Natale in quell’alba che sapeva di sconfitta.
Finito di bere Babbo Natale si alzò in piedi e disse che doveva continuare il suo giro dal momento che aveva accumulato un ritardo da Ferrovie dello Stato.
Aldo lo ringraziò e gli strinse la mano enorme con la sua mano sudata nonostante il freddo tagliente.

Uscirono dalla finestra coi loro sacchi in spalla.
Aldo salì sulla sua bicicletta presa in prestito alla Stazione, Babbo Natale mise in moto la slitta e innalzò la solita coltre nera di fumo.
Disse ad Aldo di non preoccuparsi, di credere nel futuro e che tutto si risolve, ma neanche lui ci credeva poi troppo.
Si salutarono e presero direzioni opposte.

Babbo Natale proseguì nella consegna dei regali nelle case dei ricchi dove i bambini non si svegliano mai prima di mezzogiorno, Aldo invece era atteso per il pranzo alla Caritas cittadina dove ormai era di casa.
Una sgassata e una pedalata e furono di nuovo  soli davanti a quel giorno che entrambi per motivi diversi non vedevano l’ora finisse.

di Simone "Quilly" Tranquilli

Simone Tranquilli
Pubblicato Sabato 17 dicembre, 2011 
alle ore 13:28
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Commenti
Ci sono 2 commenti
Franco Giannini 2011-12-17 15:59:09
Ai confini della realtà
Se non si fosse trattato di una storia di Babbo Natale, commovente com'è, quasi, quasi, avrei potuto immaginare di un copia incolla di un fatto reale appartenuto ai giorni nostri. Fortunatamente è un racconto distante anni luce dalla nostra realtà.
Sono di parte, ma bravo Simo ugualmente
Mary 2011-12-18 12:37:40
Complimenti! Una storia veramente originale e ben scritta! Buon Natale!
ATTENZIONE!
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