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La Nave Dolce di Daniele Vicari approda in anteprima a Senigallia: l’intervista

"Ogni essere umano ha diritto a sognare un futuro migliore"

Il regista Daniele Vicari

La Nave Dolce di Daniele Vicari arriva in anteprima nazionale a Senigallia l’8 novembre. In sala sarà presente lo stesso Vicari che prima della proiezione presenterà la pellicola al pubblico.

Prodotto dalla Indigo Film, distribuito da Microcinema e presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema 2012 di Venezia, “La Nave Dolce” racconta la traversata e l’arrivo in Italia del mercantile Vlora, che l’8 agosto 1991 attraccò sulle coste pugliesi carica di più di ventimila albanesi, in fuga dalla loro terra e in cerca di un posto migliore in cui vivere e lavorare, dopo il crollo del regime comunista di Hoxha, avvenuto sulla scia della caduta del Muro di Berlino e del disfacimento dei governi filosovietici dell’est Europa a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90.

Ecco l’intervista del regista rilasciata a SenigalliaNotizie.it

Lei ha definito ‘La nave dolce’ come “un mostro che mi ha fatto soffrire e gioire come non mi era mai accaduto prima”, come nasce questo film?

Come ho già detto in altre occasioni, La nave dolce è un film che mi è stato imposto, sono stato sollecitato dalla Apulia Film Commission che voleva realizzare un film di un certo impatto nel ventennale dello sbarco della Vlora. La Nave dolce, come già mi era successo per Diaz, mi ha costretto a superare lo schema narrativo in tre atti, prendendo in prestito strutture più ampie, quando dico “mostro” mi riferisco all’immensa mole di lavoro che c’è stata dietro: mentre in Diaz la parte più imponente del lavoro è stata ricostruire gli scenari dove si erano svolte le vicende in modo da essere più fedeli e credibili possibile, in La Nave Dolce il lavoro più vasto è stato quello della ricerca dei protagonisti: abbiamo sentito le vicissitudini di una moltitudine di persone che ha vissuto sulla pelle quel 8 agosto 1991 , le abbiamo raccolte e le abbiamo selezionate. Abbiamo cercato dei testimoni che fossero capaci di raccontare e li ho fatti parlare a ruota libera in una sorta di flusso di coscienza.

Riguardo i fatti di quel 8 agosto 1991 scrissero “Per il nostro Paese, rappresentò la perdita definitiva dell’innocenza, rispetto ad un’emergenza immigrazione da allora mai conclusa”. A distanza di più di vent’anni dalla sbarco della Vlora come è cambiata la percezione degli immigrati nel nostro paese?

Guardi, basti pensare che nel ’91 gli stranieri in Italia erano 200mila, oggi quattro milioni e mezzo. Il tessuto sociale in questi vent’anni è radicalmente cambiato e non poteva essere diversamente. L’arrivo della Vlora fu davvero un pugno nello stomaco per tutti. Lì ci rendemmo conto per la prima volta che il blocco dell’Est era veramente finito e che molte persone aspiravano a cambiare vita e avevano voglia di libertà e che dopo secoli di Italiani che migravano all’estero, noi ora eravamo la nuova America per coloro che cercavano scampo dalle rovine delle dittature dell’est. Ai tempi la nostra fu di totale chiusura. Oggi la percezione dello straniero è un po’ cambiata. Inevitabilmente avere a che fare quotidianamente con persone di nazionalità diversa, a scuola, al lavoro, nei parchi, ha fatto si che l’integrazione, volente o nolente, diventasse una parte importante e preziosa per il nostro paese. Dall’altra, è inutile negarlo, esiste ancora in certi individui, una certa riluttanza all’apertura verso l’altro. Al riguardo penso che abbiano svolto un ruolo importante, anche in negativo, alcun governi o rappresentanti politici che non hanno mai perso l’occasione di fomentare la paura verso lo straniero.

Nel suo film pone l’accento sul dualismo tra l’allora Presidente del Consiglio Cossiga e il sindaco di Bari Enrico Dalfino. Come è cambiato l’atteggiamento delle Istituzioni verso il problema dell’immigrazione?

Già, diciamo che quello era un conflitto tutto interno alla Democrazia Cristiana, difficilmente spiegabile. Da una parte Dalfino voleva costruire una tendopoli con la collaborazione della Protezione Civile, mentre lo Stato preferì radunarli all’interno dello Stadio La Vittoria e rispedirli a casa con l’inganno. Oggi la situazione non è molto più rosea in quanto il fenomeno è difficilmente monitorabile e le istituzioni continuano a trattare in maniera incivile coloro che chiedono semplicemente un’occasione. I campi di accoglienza hanno ben poco di accogliente… e l’integrazione è ancora un fenomeno a macchia di leopardo. Ogni essere umano ha diritto a sognare un futuro migliore e quelle persone vogliono, oggi come 20 anni fa, solo questo.

Qual è il messaggio che vorrebbe che passasse da La Nave dolce?

Vorrei che la gente capisse che su quella nave, vent’anni fa, c’eravamo tutti; non c’erano solamente gli immigranti albanesi, quella nave è il simbolo di un viaggio della speranza fatto in precedenza anche da noi italiani, è un monito delle nostre responsabilità verso gli altri popoli e una metafora di una nazione, la nostra, che naviga a vista e cerca disperatamente un porto sicuro senza trovarlo.

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