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442 anni fa, il capolavoro di Federico Barocci è arrivato a Senigallia

La pala d'altare del "Trasporto di Cristo al sepolcro" è conservata e visibile all'interno della Chiesa della Croce

Immagine creata con supporto dell'intelligenza artificiale

Nel 1582, Federico Barocci dipinse un capolavoro che si può ammirare a Senigallia: il Trasporto di Cristo al sepolcro, nella Chiesa della Croce, disegnata dal suo allievo Muzio Oddi.

Le origini storiche dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento risalgono al XIII secolo. Fu dopo il miracolo di Bolsena del 1263 d.C. (durante la Santa Messa, il sangue cominciò a fuoriuscire dall’Ostia consacrata), quando Papa Urbano IV estese la celebrazione della festa del Corpus Domini a tutta la Chiesa.

In quel periodo sorsero numerose confraternite dedicate al Santissimo Sacramento, grazie all’assistenza di San Tommaso d’Aquino, che compose l’Ufficio. Lo spirito della Confraternita era quello della comunione e della partecipazione sia spirituale che sociale. I membri dell’epoca si distinguevano per l’assistenza alla popolazione in occasione di numerose calamità naturali, come pestilenze e lebbra. Si prodigarono per assistere i malati e seppellire i morti abbandonati sulle strade. Da queste esperienze nacque la necessità di proteggersi dai contagi, che li portò a indossare sacchi di iuta ricoperti di calce.

Un notevole incremento di queste Confraternite e delle loro solenni processioni fu indotto da una delle sessioni del Concilio di Trento (1545-1563), quando divenne obbligatorio per ogni vescovo istituirle in ogni parrocchia della propria diocesi. La confraternita di Senigallia, che esisteva già nel 1520, decise di trasferirsi e di costruire la propria cappella sul lato del Duomo. L’obiettivo era quello di acquistare un bel dipinto di un grande artista della capitale del Ducato, Urbino.

La trattativa durò tre anni e per accumulare la somma di 300 scudi i cinquanta frati vendettero vino, grano e panni. La tela fu dipinta nella bottega di Urbino e trasportata a Senigallia.

Federico Barocci, Trasporto di Cristo al Sepolcro, 1582, Chiesa della Croce di SenigalliaFederico Barocci, Trasporto di Cristo al Sepolcro, 1582, modello, Chicago

Il 20 maggio 1582 il dipinto fu finalmente collocato nella cappella e fu proposto di risarcire gli uomini che lo avevano trasportato a spalla da Urbino a Senigallia. Questa curiosa modalità di trasporto e l’insolita forma di risarcimento sono descritte nei verbali originali della congregazione:

“Monsignor Silvestro Rosa, che ha accompagnato sedici uomini per portare qui la Tela da Urbino, ha sottolineato il notevole sforzo che questi uomini hanno esercitato nel trasportare la detta Tela sui loro pennoni. Riconoscendo che ogni sforzo merita una ricompensa, i Confratelli hanno ordinato a Monsignor Battista Mazzoleni, il Camerlengo, di dare uno scudo a ciascuno dei sedici uomini che hanno trasportato la Tela”.

Federico Barocci, detto il Fiori, nacque a Urbino, nel Ducato di Urbino. Inizialmente si formò sotto la guida del padre, Ambrogio Barocci, scultore di una certa fama locale.

Seguì lo zio, Bartolomeo Genga, a Pesaro e poi, nel 1548, a Roma. Lì lavorò nella principale bottega di pittori manieristi, Taddeo e Federico Zuccari.

Dopo aver trascorso quattro anni a Roma, Barocci tornò nella sua città natale, dove completò la sua prima opera significativa, una raffigurazione di Santa Margherita per la locale Confraternita del Santissimo Sacramento. Successivamente fu invitato a Roma da Papa Pio IV per contribuire alla decorazione del Palazzo del Belvedere in Vaticano. Durante questo secondo periodo romano, Barocci si ammalò di disturbi intestinali, sospettando che un’insalata che aveva consumato potesse essere stata avvelenata da concorrenti invidiosi.

Preoccupato per la sua vita, lasciò Roma nel 1563; quattro anni dopo, secondo quanto riferito, ebbe una parziale guarigione grazie alle preghiere alla Vergine.

Negli anni successivi la sua bottega ebbe sede a Urbino. All’epoca della creazione del capolavoro di Senigallia, aveva un giovane apprendista, Muzio Oddi.

Federico Barocci, Trasporto di Cristo al Sepolcro, 1582, oil study, Getty MuseumFederico Barocci, Trasporto di Cristo al Sepolcro, 1582, incisione successiva

L’opera divenne rapidamente famosa per la sua bellezza e fu continuamente copiata. Tra il 1585 e il 1590, Philippe Thomassin creò la prima di molte incisioni popolari, seguito da Aegidius Sadeler.

Il dipinto e la sua cornice dovettero presto affrontare una nuova e grave minaccia: i topi.

Questo problema è documentato in numerosi documenti; vennero prese ampie misure, tra cui quella di proteggere la tela con un’armatura di latta. Tuttavia, questa soluzione si rivelò inadeguata, poiché i topi continuavano a danneggiare la tela con la loro urina, anche se non riuscivano a masticare il metallo. In una riunione del 1599, venne fatto notare con urgenza che “la nostra tela è così danneggiata dall’urina dei topi che, se non prendiamo presto provvedimenti, subiremo un grande danno”.

Questa situazione fu usata come argomento per insistere sulla requisizione della vicina casa dei Canonici Regolari e sull’ampliamento della chiesa, per eliminare il rischio per il dipinto.

Federico Barocci, Trasporto di Cristo al Sepolcro, 1582, incisione successivaFederico Barocci, Trasporto di Cristo al Sepolcro, 1582, incisione successiva

“Nei primi mesi del 1601, gli architetti del Duca, Muzio Oddi e il canonico Arduino, furono consultati per l’ampliamento della chiesa. I Fratelli erano particolarmente preoccupati che il dipinto mantenesse la sua “luce proporzionata” durante l’ampliamento della chiesa, seguendo gli insegnamenti del Maestro.

Il 20 aprile 1608 il dipinto fu sottoposto a restauro. Nei Libri della Congregazione di quella data si legge: “trattando che il Quadro già mandato a Urbino sia accomodato…. per la fatica fatta nell’accomodare il detto Quadro gli mandi scudi centocinquanta”, con lo stesso Barocci che annota: “… e cioè esattamente la metà della stessa somma che era costata la lavorazione completa del Quadro”.

Questo restauro ha probabilmente comportato una significativa rielaborazione dei colori, anche se la distribuzione e il movimento delle figure sono rimasti invariati. Pertanto, il dipinto dovrebbe essere studiato non solo come opera del 1582, ma anche nella prospettiva del suo restauro del 1608″. (Pio Emilio Vecchioni, La Chiesa della Croce e Sagramento e la Deposizione del Barocci, Senigallia, 1949).

Muzio Oddi fu una figura notevole di Urbino, immersa nell’ambiente colto del ducato. Inizialmente educato all’eloquenza e alla filosofia, si formò poi con il pittore Federico Barocci intorno al 1582. La scoperta di un difetto visivo, una forma di daltonismo, lo portò a proseguire gli studi di prospettiva e matematica con Guidubaldo del Monte a Pesaro, un importante discepolo di Federico Commandino.

Tuttavia, Muzio era noto per la sua vena indipendente. I suoi problemi con la corte di Urbino cominciarono a emergere il 30 luglio 1599, quando fu giudicato colpevole di aver pescato in aree protette e di essersi bagnato nudo nel fiume Metauro. Anche se fu graziato, i conflitti persistettero. Due anni dopo, fu coinvolto in un alterco fisico con Giuseppe Azzolino, custode del duca, a causa di un disaccordo sui lavori che Muzio stava supervisionando a Casteldurante.

In seguito, nella sua stanza vennero rinvenuti oggetti del guardaroba ducale, con conseguente accusa di furto nei suoi confronti. Per tutta risposta, Muzio fuggì dal Ducato di Urbino per Venezia, poi viaggiò via mare verso lo Stato Pontificio. Qui, a Loreto, il 22 maggio 1602, fu nominato architetto della Santa Casa, dove diresse la costruzione della cappella del Tesoro.

Federico Barocci, Trasporto di Cristo al Sepolcro, 1582, Chiesa della Croce di SenigalliaImmagine creata con supporto dell'intelligenza artificiale

Il 16 maggio 1605, con la nascita dell’atteso erede, Francesco Maria emanò un’amnistia generale e si riconciliò con Oddi, permettendogli di tornare a Urbino nel giugno 1605.

Questo periodo di riabilitazione fu breve, perché Oddi fu arrestato il 18 agosto 1606 con l’accusa, forse ingiusta, di aver complottato contro il duca. Fu confinato nella fortezza di Pesaro per oltre 40 mesi.

Durante la prigionia, Oddi riuscì a procurarsi una copia del trattato di Euclide Commandino e a ricavare l’inchiostro dalla cenere del camino. Iniziò a comporre le proprie opere sugli orologi solari e un trattato agrimensorio sulla quadratura. Nonostante le circostanze, continua a disegnare. I suoi “Gheribizzi”, appunti progettuali accompagnati da disegni per l’ampliamento delle strutture urbane di Urbino e Senigallia, risalgono al 1609.

Le competenze architettoniche di Oddi contribuirono alla nuova costruzione che ospitava il nostro dipinto, la Chiesa della Santa Croce a Senigallia.

L’assoluta semplicità dell’edificio, un parallelepipedo dalle dimensioni armoniose, sorprende il visitatore. Due finestre sono state aggiunte alla struttura, che ha resistito a vari terremoti e agli incendi rivoluzionari della temuta Settimana Rossa del giugno 1914.

“Monsignor Silvestro Rosa, che ha accompagnato sedici uomini per portare qui la Tela da Urbino, ha illustrato il notevole sforzo che questi uomini hanno esercitato nel trasportare la suddetta Tela sui loro pennoni…”.

da Serge Plantureux

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