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Un senigalliese corona il suo sogno di un viaggio a Londra per l’Esposizione Universale

Non fu un viaggio come gli altri quello compiuto da Luigi Gherardi, figlio di Nicola

Rocco Papaleo - Coast to Coast - 6 dicembre 2018 - Teatro La Fenice Senigallia
Esposizione Londra 1851

‘Mia cara Mammà, ho dovuto ritardare di qualche giorno la risposta alla vostra lettera perché mi sono assentato da Parigi per realizzare il mio viaggio a Londra.’

Così comincia la lettera del contino Luigi Gherardi, figlio di quel Nicola che a Senigallia ricoprì diverse cariche civiche, alla madre Clementina, la torinese marchesa d’Angennes. Una missiva familiare, privata, che però rappresenta una interessante testimonianza di un senigalliese alla Prima Grande Esposizione Universale.

Luigi era in Francia per studio. L’amico di famiglia Buffarini, una sorta di factotum del conte Nicola, aveva procurato il contatto con una buona scuola privata nella capitale francese dove si poteva imparare la lingua ma anche le buone maniere, la scherma, il codice dell’onore aristocratico. Il giovane marchigiano è estasiato dalle cose che vede in Francia, così diversa dagli Stati Pontifici in cui è cresciuto, ma ancor più rapito rimane dalle ‘cose meravigliose’ che vede in Inghilterra e che ‘assomigliano ai racconti meravigliosi di Babilonia e alle ricchezze degli antichi Romani.’

Una caratteristica che colpisce immediatamente Luigi è la vastità dei luoghi. Di Londra dice che più che una città si potrebbe definirla ‘una grande provincia’, quasi anticipando il concetto di megalopoli, di centro urbano nel quale convivono diverse comunità.

Del resto egli stesso si rammarica per non aver avuto il tempo – in cinque giorni di permanenza, – per poter visitare tutti i luoghi di interesse e segnatamente il ‘borgo cinese’, ossia China Town, dove gli individui si abbigliano in modo strano e si sentono idiomi sconosciuti.

Luigi è anche persona sensibile e non può non notare, in modo forse sorprendente per un ragazzino provinciale come lui, la miseria che si contrappone a tanta opulenza. Quasi fossimo in un romanzo di Dickens, il giovane conte stigmatizza ‘questa incredibile ricchezza accanto ad un’arida povertà; vedere questi ricchi Lords nei loro equipaggi di altissimo prezzo e vedere allo stesso tempo delle masse miserabili mendicare nelle strade.’

Luigi rimane toccato, non poco, da ciò che vede, quelli che potremmo forse definire i prodromi dei peggiori effetti di certo capitalismo incomprensibile a lui, senigalliese, abituato a vivere in uno Stato arretrato ed in qualche modo ancora corporativo.

‘La notte si vedono dei gruppi di quindici o venti bambini mezzi nudi vagare nelle piazze, intorpiditi dal freddo e dal fango ed essi non hanno, d’altro canto, che i gradini delle case e i marciapiedi dove si ammucchiano gli uni sugli altri per riscaldarsi durante il sonno’: visione apocalittica che ci ricorda un po’ il poetare di William Blake e un po’ un mondo distopico nel quale il debole, indifeso, deve sempre soccombere.

Ma a fianco di queste miserie Londra è anche la capitale più moderna d’Europa, la città che sotto l’impulso di Alberto, il marito della regina Vittoria, organizza la prima Esposizione Universale della Storia occidentale, invitando a confluire nel fulcro dell’Impero tutta l’industria espressa dai luoghi conosciuti del mondo.

Il primo approccio che Luigi Gherardi ha con questa manifestazione è però deludente. ‘La prima volta che l’ho vista non mi ha sorpreso come avrei pensato’ sostiene il contino perché ‘situata nel mezzo di un parco immenso’ (Hyde Park) sembra assomigliare più ad una ‘immensa baracca’ che non ad un monumento che il mondo dovrebbe ammirare. Ma Luigi fa presto a cambiare idea: ‘dopo che vi sono entrato […] mi sono ritrovato tutto d’un tratto in una sala senza limiti, sotto un tetto di cristallo, tra 110.000 individui che passeggiano lì dentro come in una fiera’ e davvero il Crystal Palace, edificio enorme costruito tutto di ferro e cristallo, deve aver impressionato il giovane Gherardi che però, con una certa ingenuità, non manca di riportare ciò che va scoprendo alle dimensioni del suo conoscibile utilizzando, forse non per caso, il termine ‘fiera’ che per secoli era stato così importante nella sua città d’origine.
Lo spettacolo era esaltante. Dai prodotti più incredibili, per solito provenienti dalle Colonie come i grandi diamanti indiani e sudafricani, ai drappi di tessuto ricamato che sembrano dei quadri ad olio, Luigi rimane senza parole: non solo incontra oggetti giunti da lande sconosciute ma tocca con mano il progresso tecnico e scientifico che permette ormai di costruire ‘macchine a vapore applicate alla confezione delle cose più difficili dell’industria.’

L’aspetto però più affascinante di questo intimo racconto riguarda l’Italia, il paese che ancora non c’è ma dal quale sembra che Gherardi ritenga già di provenire: non di Stato Pontificio parla il giovane contino ma di Italia. Se infatti Inghilterra, Francia e Stati Uni fanno a questa esposizione la parte del leone, tanto che ‘sorpassano tutte le altre nazioni per i progressi della loro industria’,

Luigi ci tiene a dire che ‘la nostra Italia non è affatto l’ultima.’ Vi sono esposti mosaici, le paglie di Firenze e svariate produzioni industriali piemontesi: ‘mi sono rallegrato dopo l’aver visto tre grandi saloni pieni dei nostri prodotti.’

Un giovane senigalliese alla scoperta di Londra che aveva già in capo la causa dell’unificazione nazionale.

Gaspare Battistuzzo Cremonini

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