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L’incredibile colonna sonora di Dirty Dancing

L'analisi delle canzoni nel film cult: da Otis Redding ai Surfaris, da Zappacosta a Shirelles

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Una scena del film "Dirty dancing"

Titoli di testa. Ad accompagnarli c’è una canzone che influenzerà largamente la musica Pop successiva al 1963. Sicuramente si tratta del brano più celebre delle Ronettes, quindi, come direbbe il Timothy Price di Bret Easton Ellis nell’incipit di American Psycho, se ci alzate il volume sganceremo cinque dollari di mancia, perché ovviamente si tratta di “Be My Baby”.

Bianco e nero e slow motion. Coppie di ballerini impegnati in quelle famose e sporche dirty dance che danno il nome al film. Tra sensualità e dissolvenze ci viene introdotto un mondo che appare chiaramente essere nascosto, inaccettato, catacombico, top secret e per pochi scelti. Un insolito circolo privato e proibito, sporco non patinato, è quello dell’elite dei bassi fondi, degli inservienti, del personale: una simbolica tribù di giovani che ci verrà descritta con scelte cromatiche e scenografiche ben precise in tutta la sua “selvaggitudine” e passionalità come una società periferica, marginale a quella della Upper Class che si nutre di vezzi e divertimenti borghesi nello storico villaggio turistico dell’anziano Max Kellerman.

E “Be my Baby” è una scelta azzeccatissima per iniziarci al tema fondamentale del film: il contrasto, la diversità fra classi sociali coi rispettivi usi, costumi e valori, ma anche la differenza di status, esperienza e pensiero fra giovani, quelli “bene” (alcuni superficiali e razzisti, altri attivisti e rivoluzionari) e quelli che potremmo definire “bruciati” (alcuni stacanovisti e onesti, altri irresponsabili ed egoisti). La canzone del girl-group newyorkese scritta e prodotta dal geniale inventore del Wall of Sound, Phil Spector (i co-autori furono Jeff Berry e Ellie Greenwich), come era tipico del genere, non poteva che essere sdolcinata e pateticamente romantica – così piaceva alle adolescenti e ai genitori dell’epoca – e naturalmente pudica. Estremamente casta infatti “Be my Baby” non allude che a qualche bacio, mentre nello schermo vediamo l’esplicita e simbolica messa in danza di osceni atti sessuali, con tanto di movimenti impuri del bacino, delle gambe e delle schiene che non possono che alludere spudoratamente alla penetrazione, agli spasmi e agli orgasmi. Siamo a due minuti dall’inizio ed è già estasi totale.

Lo speaker radiofonico non perde l’occasione per spoilerarci tutto il film definendoci questa come la “stagione degli amori”, ma noi fortunatamente avevamo già capito della locandina che non ci sarebbero stati suspense, sangue o deludenti surrogati di Humphrey Bogart nella pellicola in questione, ed eravamo già prontissimi a versare lacrime su qualche bacio appassionato che non vivremo mai. Una curva sulle prime note della canzone trasmessa dalla radio ed eccoci dentro la macchina della famiglia Houseman (che tradotto significa “medico ospedaliero”) e casualmente ha alla guida proprio il Dr. Jake Houseman, un uomo estremamente sensibile, colto e affatto superficiale, interessato alle questioni sociali e per nulla altezzoso, così pure sua figlia Baby, che a differenza della sorella impegnata a sistemarsi la frangetta davanti allo specchio, ci viene ritratta nell’atto di leggere un libro. La madre? Non attira la nostra attenzione, e questa è naturalmente una scelta presa coscientemente. Con poche semplici intuizioni, ci sono già stati descritti i personaggi e presumibilmente iniziamo, da esperti spettatori quali siamo, anche ad immaginare i loro possibili destini. Ma torniamo alla musica. Se prima siamo stati accolti da un dialogo tra solita e coro tutto al femminile, ora a prendere in mano il testimone è un gruppo di boys da non molto raccontato al Cinema con la firma di uno “stanco” Clint Eastwood: sono i Four Season e la canzone è “Big Girl don’t Cry”. Famosi per il loro sound italo americano il falsetto di Frankie Valli e i suoi colleghi raggiungono con questo singolo scritto da i due Bob (Crewe e Gaudio) la prima pozione del Billboard Hot 100 nel 1962 e la mantengono per ben cinque settimane.

Per il momento allentiamo un po’ la corda sulla questione della musica, che da qui fino al minuto tredici (tranne un accenno al tema del film necessario per farci familiarizzare con il motivo e apprezzare maggiormente il brano finale: “The time of my life”) ci riserverà solamente tre brani strumentali composti appositamente per Dirty Dancing da Erich Bulling, John D’Andrea e Michael Lloyd ovvero un merenghe, un foxtrot e un mambo funzionali alla narrazione, ma non particolarmente interessanti per la nostra analisi, e prendiamo l’occasione per raccogliere un po’ di quei semi che la sceneggiatrice Eleanor Bergstein ha lasciato per noi: Baby continua ad essere descritta in tutta la sua umana perfezione di ragazza intelligente, educata e competente nei riguardi dei problemi politici e sociali internazionali, e nella sua non particolare bellezza o femminilità, qualità messe in risalto (neanche troppo secondo il punto di vista di chi scrive) dall’acida sorella vanesia e stupida. La madre, alla quale viene concesso un po’ più di spazio, si dimostra non solo vacua, ma anche sottilmente ignorante e assolutamente consapevole di esserlo, per questo motivo tace e interviene raramente anche a livello fisico, dimostrandosi poco ingombrante per tutta la durata del film. Intanto il signor Kellerman invita i camerieri (studenti di università pregiate) a far divertire ed innamorare le ragazze, e ordina ai maestri di ballo, fra cui il nostro Johnny (che finalmente ci viene presentato, ma indossando gli occhiali da sole, così da avere una sorta di seconda entrata a sguardo scoperto nella successiva scena del Mambo) di non provaci per nessun motivo con le clienti. In entrambe le occasioni (le uniche sino ad ora) in cui vediamo il personaggio di Patrick Swayze, ci viene mostrata una Baby voyeur, che interagisce passivamente con il giovane ballerino, ammirandolo curiosa e ovviamente attratta, ma assolutamente da questi né vista né guardata.

E’ con la voce di Tom Jhonston impegnata a intonare “Where are you tonight” che si apre quella che per me rimane una delle scene in assoluto più belle ed efficaci del film. La nostra Baby ha appena vinto un pennuto per essersi prestata ad un gioco di prestigio che non l’ha affatto divertita; è stata costretta a partecipare, fatta accomodare in una scatola e divisa in due. Era solo un divertissement ovviamente, una scena di passaggio, ma anche un seme che ci racconta ciò che avverrà dopo: la piccola cocca di papà (da leggere non in senso dispregiativo) interpretata dalla Grey si sentirà fra non molto completamente divisa e contesa fra due uomini (Johnny e suo padre) e due scelte: lasciare l’amore o perdere la fiducia dell’uomo che più stima al mondo?
Ritorniamo però alla nostra scena. Baby è una ragazza curiosa, vuole scoprire, vuole conoscere e infatti si introduce dove non dovrebbe e raggiunge il vialetto che porta alla residenza del personale. Qui incontra Billy, un facchino conosciuto al suo arrivo al quale aveva dato una mano a scaricare le valige, e che ora nuovamente aiuterà, ma a portare i cocomeri. Come vedete non esistono scelte casuali di sceneggiatura nei film americani, tutto ha la sua funzione. Notiamo per esempio l’intelligenza degli autori di dare, come è logico essendo una ragazza gracile, una sola anguria a Baby (tenuta orizzontalmente) e due al giovanotto (tenute verticalmente). In questo modo, una volta introdotti nel “ghetto” in cui assatanati e lussuriosi giovani a dorso nudo e ragazze dal trucco e l’abbigliamento volgare danzano i loro sporchi balli, Baby parrà ancora più impalata del solito mentre Billy, dovendo muoversi ed abbassarsi per mantenere l’equilibrio e non far cadere i pesanti frutti, assumerà una posizione simile a quella dei suoi compagni che nelle braccia invece delle angurie hanno seni turgidi e calde cosce nude e naturalmente senza calze. Lui è perfettamente integrato in quell’ambiente, lei col suo abitino azzurro e le ballerine, non lo è affatto. Tutto ciò è accompagnato dalla fenomenale “Do you love me” dei Contours, gruppo afroamericano di musica Soul, Doo-Wop e Rhythm and Blues, che non solo si dimostra una scelta azzeccata per l’energia che sprigiona e l’atmosfera che contribuisce a creare, ma anche e sopratutto poiché parla di un uomo rifiutato dalla sua amata perché non sapeva danzare, e che ora afferma di poter ballare il Mashed Poteto (un ballo diventato popolare agli inizi degli anni ’60, reso famoso specialmente da James Brown che lo usava regolarmente nei suoi concerti), il Twist e lo Shake. Insomma, più anticipazione di questa…

Per l’appunto, dopo pochissimo vediamo entrare in pista (specularmente a come accaduto nella scena precedente del Mambo) i due ballerini Penny e Johnny che però questa volta sono circondati dal loro branco e danzano senza censure. Baby nuovamente si limita ad osservare il giovane, il quale finalmente, dopo una lunga e sensualissima performance si accorge di lei e la invita a ballare cercando di insegnarle, pur con scarsi risultati, quelle movenze proibite. Ecco nuovamente una perfetta anticipazione di ciò che sta per accadere, tra non molto il ragazzo povero dovrà insegnare a danzare alla ragazza ricca. I due condividono il loro primo ballo accompagnati dalla fenomenale voce di uno dei massimi miti della black music: lo sfortunato Otis Redding che qui canta “Love Man”. Tra le canzoni più famose dell’artista (che diversamente da molti suoi colleghi fu anche autore di tanti suoi successi) ricordiamo “Respect”, che sarà trasformata in un successo mondiale dall’interpretazione di Aretha Franklin, diventando in questa versione l’inno dei movimenti femministi per l’abolizione delle allora ancora presenti forme di apartheid. Sicuramente degno di nota è poi l’album “Otis Blue” del 1966, riconosciuto come uno dei più grandi dischi soul di tutti i tempi; ma il singolo che lo consegnerà al mondo sarà il capolavoro “(Sittin’on) The dock of the bay”, registrato solo tre giorni prima di morire. <<Otis Redding fu il cantante che meglio riuscì a sintetizzare la tradizione più profonda del canto nero con la nuova sensibilità e il gusto della rivoluzionaria generazione dei sessanta. […] Redding fu la prima star della soul music a diventare rapidamente un idolo, indifferentemente dal pubblico giovanile bianco e nero. Amatissimo dai ragazzi dei campus universitari che iniziavano le loro battaglie contro la guerra del Vietnam e si lasciavano crescere i capelli dichiarando “i capelli lunghi sono la nostra pelle nera”>> (Assante, Ernesto – Castaldo, Gino, Blues, Jazz, Rock, Pop – Il novecento Americano. Torino 2004). Sempre accompagnati dalle parole del cantante di Dawson morto a soli ventisei anni per un incidente aereo, Baby e Johnny condivideranno un altro momento fondamentale della storia: la dichiarazione del loro amore, e quella canzone sarà “These Arms of Mine”, ma ne riparleremo più tardi, quando verrà il momento.

Nessun brano rilevante da qui fino al trentesimo minuto (solo alcune composizioni originali: un merengue e un walzer) piuttosto, importanti sviluppi nella storia. Scopriamo infatti che Penny è incinta, e che a metterla nei guai è stato Robbie, momentaneamente impegnato a corteggiare la sorella di Baby. Quest’ultimo però, convinto che la vita sia un romanzo di Ayn Rand, si dimostra totalmente disinteressato a prendersi responsabilità di ogni tipo che gli apparterrebbero, pur di fare carriera. Sarà quindi la piccola Baby a procurarsi i soldi per risolvere il problema della ballerina, chiedendoli al generoso padre che dimostra di fidarsi ciecamente di lei e del suo buon senso dandole il denaro senza pretendere di saperne la destinazione. Questa è la prima volta che la piccola Baby tiene un segreto al suo daddy. Il personaggio comincia a dare segni di trasformazione, e anche la colonna sonora torna a soddisfare le nostre esigenze. Rimasti digiuni per alcune scene ecco che arriva quello che confesso essere uno dei brani che preferisco dell’intera Soundtrack di Dirty Dancing: “Stay” registrato nel 1953 da Maurice Williams and The Zodiacs. Una canzone questa, appartenente al genere Doo-Wop, che vanta il privilegio di essere stata interpretata da grandi artisti come i Beatles, The Four Season, Bruce Springsteen & The E Street Band e Cyndie Lauper. Anche in questo caso gli autori vogliono metterci alla prova e tornano a far ballare i dirty dancer su una canzone “casta”, proprio come nei titoli di testa. Ricordiamo infatti che il Doo-Wop fu un genere che nacque come reazione dell’industria discografica al Rock’n’roll più infiammato, selvaggio e “pericoloso”. Questi erano testi sostitutivi, rassicuranti, romantici, intonati da quartetti composti da giovani neri acrobati dell’ugola dalle buone maniere ed elegantemente vestiti come bianchi, con i capelli curati e comportamenti morigerati, che si rifacevano a quei cori vocali maschili che negli anni ‘30 e ‘40 avevano operato la fusione tra il Gospel e il R&B.

Un nuovo ostacolo manda avanti la narrazione. Ora Penny ha i soldi per abortire, ma il medico può operarla solamente nel giorno in cui con Johnny dovrebbe esibirsi in un mambo al Shell Drake, ha quindi bisogno di una sostituta che le sia anche complice, e chi meglio della piccola Baby che dovrà in poco tempo imparare a ballare? Ecco che si apre una lunga sequenza nella quale viviamo la trasformazione di Baby da maldestra a discreta ballerina, ma sopratutto vediamo crescere in lei il lato femminile. Per la prima volta le vediamo mettere un rossetto e indossare delle calze; sembra una donna, e danzare con (ed essere toccata da) Johnny contribuisce in tal senso. Tre sono le canzoni che accompagnano queste immagini, il mambo “De todo un poco” di Melon, che ritroveremo più tardi nello spettacolo allo Shell, e poi due grandi successi come il brano surf rock dei Surfaris: “Wipe Out”, un singolo unicamente strumentale che vendette oltre un milione di copie nel ‘63 – celeberrimo l’assolo di batteria contenuto nel brano, sicuramente fra i più famosi della storia del rock – e “Hungry Eyes” registrata e prodotta (insieme a Bob Gaudio dei Four Season) da Eric Cramen. Gli autori della canzone sono Frenke Previte e John DeNicola, gli stessi che scrissero il famoso brano finale del film : “(I’ve had) The time of my life”.

Moltissime le ore passate ad allenarsi, Johnny è sempre più irritabile, pure la piccola Baby si sente sovraccaricata e finalmente ruggisce per difendersi dall’ennesimo richiamo sgarbato dell’insegnante che decide di cambiare aria e portarla al lago. Azzeccatissima, “Overload” di Zappacosta introduce una delle scene emblematiche dell’intero film: i due protagonisti ballano in equilibrio su un tronco, sotto di loro un torrente, e nell’aria, in forma naturalmente extradiegetica, c’è Bruce Channel che canta “Hey Baby”. Il famosissimo riff di armonica suonato da Delbert McClinton ci conduce nella scena successiva, quella dei salti prima sull’erba e poi naturalmente sull’acqua, che come dice Swayze, è il posto migliore per allenarsi; è qui che l’amore della piccola Baby comincia ad essere corrisposto. Lo capiamo non attraverso banali inquadrature di sguardi ammutoliti e sospiranti in campo controcampo, come sempre avviene, ma dalle note del tema di “The time of my life” che si introducono per chiudere la scena in questione e aprire una nuova sequenza, che sarà un vero e proprio trionfo dal punto di vista musicale e naturalmente narrativo.

I due protagonisti ottengono un discreto successo con il loro Mambo, la piccola Baby non è riuscita a saltare (spiccare il volo, lasciare il nido, vi dice niente?) ma ugualmente felici ascoltando “Some Kind of Wonderful” dei Drifters trasmessa dalla radio tornano al villaggio turistico, dove ad attenderli c’è un’atmosfera non altrettanto lieta. La povera Penny è stata operata da un ciarlatano e ora sta soffrendo enormemente: a salvarla da morte certa per emorragia è il Dr. Jake Houseman, svegliato nel bel mezzo della notte dalla figlia adorata, inconsapevole di averla perduta per sempre. Scoperto l’utilizzo fatto da Baby dei suoi soldi, il padre ferisce la figlia dicendole di non riconoscerla più e ordinandole di togliere quel trucco dal viso che la rende ridicola. Ma noi sappiamo bene che tutto ciò è positivo, è la dimostrazione che il nostro personaggio è veramente cambiato, non è più una bambina diligente, è una ragazza cresciuta pronta a prendersi le sue responsabilità e a compiere i propri errori; sta diventando una donna sensuale, che necessità di esprimere questa sensualità e ci darà il modo di constatarlo fra pochissimo, quando, come anticipato prima, accompagnata da “These arms of mine” di Otis Redding, si dichiarerà a Johnny nella camera di lui, disordinata e spartana, come la sua vita, vuota d’affetti familiari, umile e incasinata. I due danzano sulle note di “Cry to me” di Solomon Burke, il re del Rock’n’soul, reso famoso specialmente dal suo grande successo “Everybody needs somebody to love” riproposto dai Rolling Stones nel ‘65 e dai Blues Brothers negli anni’80, e poi finalmente fanno l’amore. Un atto sessuale che incomincia proprio ballando, perché Baby è finalmente capace di farsi condurre in quelle dirty dance tanto spiate precedentemente.

Il risveglio non è certo fra i più positivi. Mr. Houseman non parla più a sua figlia, dandole enormi sofferenze, Penny scopre il sentimento che lega il caro amico alla giovane cliente di buona famiglia e cerca di persuadere Johnny della pericolosità della situazione in cui si sta cacciando, mentre Lisa, la sorella di Baby – che finalmente scopriamo chiamarsi Francis (altro gesto simbolico in rappresentanza di quell’abbandono del bozzolo che la protagonista sta vivendo: appellarsi con il vero nome) – le rivela di voler fare l’amore con Robbie e quando quest’ultima cerca di dissuaderla, conoscendo la vera meschina identità del giovane studente di Yale, Lisa la prende a male parole, accusandola di non volerle realmente bene ma di essere solo gelosa dell’affetto che ora il padre ripone su di lei, una cura che prima non le era mai stata dedicata dal genitore. A rendere tutto più amaro è la scoperta del rapporto che il personaggio di Swayze ha con le clienti del villaggio, quelle vedove bianche che lo usano per soddisfare i loro vizi lussuriosi. La canzone che commenta gran parte di queste immagini è “Will you love me tomorrow” delle Shirelles. Scritto dai coniugi Gerry Goffin e Carole King (che insieme a Bacharach e David – autori di molti dei successi di Dionne Warwick – sono riconosciuti come il binomio di autori di maggior successo degli anni ’60), questo singolo decretò le Shirelles il primo gruppo femminile di Rock’n’roll di successo, aprendo la strada a molte formazioni femminili come le Ronettes e le Supremes, e inaugurò quel periodo, tra il ‘60 e il ‘63 in cui i girl-group soppiantarono le star italoamericane nel cuore degli adolescenti.

Con un ridicolo passo del canguro che fa fare ai ricchi, borghesi e mediocri clienti del villaggio turistico la grottesca parodia di loro stessi, saltiamo da un atmosfera malinconica ad una decisamente più serena; ad accompagnarci è l’inconfondibile riff di chitarra di Jody Williams. Ci ritroviamo in una sala per lezioni di ballo, e i nostri innamorati sempre più appassionati ed eccitati stanno vivendo una delle scene più famose e apprezzate del film: quella del cia’ cia’ cia’ sublimato dal dialogo parlato di Mickey & Sylvia in “Love is strange” mimato a carponi da Patrick Swayze e Jennifer Grey. Un’immagine riuscitissima e indimenticabile.

Nella scena successiva i due litigano perché Baby non ha ancora detto al padre della sua relazione con Johnny e quest’ultimo deluso ed affranto va a chiedere conforto all’amica Penny. Presto, verrà raggiunto dalla piccola Baby e farà pace con lei dopo aver finalmente preso a pugni (per un centinaio di motivi) quella che possiamo senza sensi di colpa definire la carogna del film. Picchiare Robbie è un gesto catartico, tanto per il protagonista che per il pubblico che cominciava veramente a sentire l’esigenza di spaccare il musetto pulito a quel villain detestabile. In sottofondo, trasmessa dalla radio c’è “You don’t own me”, ma (fate attenzione alla genialità degli autori) non la versione originale del 1964 cantata da un’adolescente Lesley Gore che la portò ad essere un inno femminista a tutti gli effetti, piuttosto la cover dei Blow Monkeys, un gruppo musicale britannico degli anni ’80, per ricordarci – come d’altronde faranno i capelli della Grey per tutto il film – che Dirty Dancing è una pellicola dell’87.

Memorabile anche la performance di Jane Brucker (che apre la scena in cui Johnny rifiuta le avance di Vivian, una delle sue Vedove Bianche) cantando – volontariamente in maniera pessima – “Hula Hana”: una bizzarra canzone no-sense scritta per il film dall’attrice stessa, interprete di Lisa. Poco dopo, la sorellina di Baby, presa la decisione di donare a Robbie la sua verginità, raggiunge la camera di lui, scoprendolo a letto proprio con la infoiata Vivian. Ancora una volta, in forma extradiegetica, un successo degli anni ’80 accompagna le azioni dei nostri personaggi. Questa volta per la giovane c’era Merry Clayton con “Yes” un brano che parla esattamente di una donna felice di informare il suo amato che è finalmente pronta a fare l’amore con lui.

Si cambia disco, si cambia musica e si cambia camera da letto. E’ quella di Johnny e con lui c’è naturalmente Baby, sono abbracciati e si amano “in the still of the night” proprio come dice la canzone dei Five Satins che tiene loro compagnia. Un brano doo-wop del 1956, sicuramente uno fra i più conosciuti del genere, sopratutto perché con “When you dance” dei Turbans si contende il merito di aver dato origine al termine “doo-wop”.

Eccoci nuovamente a fare un salto musicale di trent’anni, ma la voce che sentiamo cantare ci sembra (se abbiamo visto il film in versione originale) stranamente familiare. Ovvio, è quella di Patrick Swayze che esegue “She’s like the wind”, una canzone originale registrata appositamente per Dirty Dancing, ma scritta dallo stesso attore insieme a Stacy Widelitz per un’altra colonna sonora, quella di Bulldozer del 1984 e non utilizzata. Il testo è l’esplicitazione dei sentimenti e dei turbamenti di Johnny – ora costretto dal datore di lavoro ad andarsene dal villaggio a causa dell’amore che prova per Baby – consapevole di non essere all’altezza di quella ragazza senza la presenza della quale, la sua vita, non avrà più un senso. I due si lasciano e il protagonista con la sua macchina-armatura che ancora mostra il buco sul finestrino (quel buco rappresenta lo squarcio che la giovane ha fatto nel cuore corazzato di Johnny) se ne và.

Emblema dell’ipocrita moralismo della Upper Class, simbolicamente ingessati dai loro stessi valori, usi e regole sociali, molti fra clienti (tra cui Lisa), personale e gestori (Mr. Kellerman e nipote) intonano “Annie Lisle”, una ballata del compositore di Boston H.S Thompson scritta nel 1857. Rappresenta l’anti-progresso, i valori stantii nei quali credono e coi quali vivono questi borghesi. Lo sentiamo dire anche dal padrone del villaggio all’amico Tito Suarez confidandogli di percepire la vicina fine di tutto questo, perché i giovani stanno cambiando e preferiscono impegnarsi politicamente e viaggiare in Europa piuttosto che prendere lezioni di foxtrot in un villaggio turistico. Nel frattempo il dottore, intenzionato a regalare del denaro a Robbie per aiutarlo nella sua carriera, scopre che l’incosciente che aveva messo nei guai Penny era proprio il suo pupillo e non Johnny, da questi trattato sempre con pregiudizio. Ed ecco proprio entrare in scena Patrick Swayze che recita una delle battute più famose della storia del cinema <<Nobody puts Baby in a corner>> (Nessuno può mettere Baby in un angolo), e trascina la sua compagna sul palco. Baby è femminile come mai l’abbiamo vista prima, perché ora è finalmente a sua agio con quell’abito elegante, i tacchi, le calze di seta e il trucco. Il personaggio della Grey si è evoluto, ma per assistere al completamento totale della sua metamorfosi, dovremo aspettare quel volo finalmente spiccato che chiuderà l’arco di trasformazione della nostra protagonista. Tutti sappiamo di che volo stiamo parlando, c’è rimasto stampato in mente fin dalla prima visione del film e ogni volta da allora, assistendo al ballo finale in cui Baby appare disinvolta e più sensuale che mai (ricordiamo che non è più una ragazzina pura, ha acquisito la consapevolezza di donna facendo l’amore per la prima volta), non vediamo l’ora che “The time of my life” arrivi sul punto di massima tensione per vederla finalmente saltare fra le braccia di Johnny e da lui farsi sollevare come un angelo. Baby non è più in un angolo, è in cima al mondo.

Certamente la protagonista non è l’unico personaggio a cambiare, anche Johnny è un uomo nuovo, e lo dichiara a tutti prima di far partire la canzone premio Oscar cantata da Jennifer Warners e Bill Medley (ex membro di quel duo The Righteous Brothers, che il destino farà incrociare nuovamente, nel 1990, con Swayze visto che “Unchained Melody”, il famoso tema di Ghost, è stata incisa proprio dal gruppo in questione negli anni ‘60). Ma non solo, anche Lisa diventa più gentile e meno altezzosa, il dottor Houseman chiede scusa e ammette di aver sbagliato a giudicare dalle apparenze Johnny, la madre di Baby finalmente prende la parola guardando la figlia ballare egregiamente e con la geniale battuta rivolta al marito perplesso <<Io dico che ha preso da me, eh?>> si porta a casa le risate di tutto il pubblico e fa fare un balzo in alto ad un personaggio che sino ad ora aveva avuto la reputazione d’essere piuttosto noioso e vuoto.

Coinvolti dalla splendida coreografia di “ritmi cubani e musica soul” che Johnny è riuscito a mettere in scena, tutti i clienti iniziano a ballare guidati dai dirty dancer e la pista si trasforma in un melting pot sociale, culturale e anagrafico, e presto ci rendiamo conto che i titoli di testa, analizzati in precedenza, in realtà terminano con dei frame che appartengono proprio agli ultimi secondi del film nei quali la pista da ballo si fa eterogenea e energica più che mai, ma che essendo omologati da scelte cromatiche, slow motion e dissolvenze alle inquadrature rubate ai balli sporchi nel “ghetto”, sono passati totalmente inosservati. Ovviamente era già tutto detto, fin dall’inizio e la cosa non ci stupisce affatto.

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