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50° anniversario di Ordinazione del vescovo di Senigallia, Giuseppe Orlandoni: l’intervista

Venerdì 11 settembre in programma alle 21.00 nella Cattedrale di Senigallia una Messa di ringraziamento

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Orlandoni con Papa Francesco

Cosa significa e comporta vivere il 50° anno di sacerdozio da vescovo?
Il giubileo sacerdotale è un’occasione propizia anzitutto per lodare e benedire il Signore per il dono immenso della vocazione e del sacerdozio, dono che va aldilà di ogni merito e che si spiega solo come mistero dell’amore grande di Dio per coloro che Egli chiama a condividere il sacerdozio di suo Figlio per la vita e il bene della Chiesa e dell’umanità.

Per me, poi, il dovere di ringraziare il Signore diviene ancor più pressante, da quando, 18 anni fa, ho ricevuto il dono dell’episcopato, che mi ha costituito pastore di questa amata Chiesa di Senigallia.
Il 50° di sacerdozio è peraltro occasione per chiedere perdono per tutte le inadempienze, i limiti, le insufficienze che si sono registrate nella mia vita in questi lunghi anni. Rimango sempre sorpreso per la sproporzione che esiste tra la grandezza del dono che ho ricevuto e la piccolezza, la povertà della mia persona. A volte dico al Signore: ma non potevi scegliere uno migliore di me per il tuo servizio? Come ogni cristiano anch’io sento il bisogno di affidare la mia vita nelle mani misericordiose di Dio.
L’anniversario dell’ordinazione sacerdotale è infine occasione per considerare come indirizzato anche a me il monito che l’apostolo Paolo rivolge a Timoteo: “ravviva il dono di Dio che è in te”, cioè il dono del sacerdozio conferito con l’imposizione delle mani. Ravvivare il dono significa crescere nel rapporto di amore con il Signore e continuare a servire la Chiesa con gioia e rinnovata dedizione, qualunque sia il ruolo che si è chiamati a svolgere.

In questi anni di episcopato ha ordinato tanti sacerdoti: pensando alla sua ordinazione sacerdotale e al suo sacerdozio, cosa ‘sogna’ per questi giovani preti?

In questo periodo il Signore mi ha concesso la grazia e la gioia di ordinare venti sacerdoti. Nutro nei loro riguardi un sentimento profondo di paternità spirituale; considerando anche gli altri sacerdoti, penso che essi tutti costituiscono il tesoro di questa chiesa particolare. Vorrei tanto che ciascuno di loro tenesse sempre vivo il sogno che nutriva il giorno dell’ordinazione: il sogno di spendere la propria vita per un grande ideale, quello di lasciarsi afferrare dall’amore del Signore e mettersi al suo servizio collaborando Lui per la salvezza del mondo. Da parte mia sogno per i “miei” preti non una vita comoda, tranquilla, senza fatica, ma una vita bella, piena di senso, di gioia e di zelo pastorale, una vita che pur nella fatica è spesa per amore. Certamente oggigiorno la vita del prete non è facile: lo scoraggiamento è sempre in agguato. Ma tutto si supera nel sentirsi amati di un amore infinito.

C’è un episodio o una situazione, un’esperienza particolarmente significative che ripensa in questo traguardo e al quale deve molto nella sua vita sacerdotale?

Più che a qualche episodio particolare penso che nella mia scelta vocazionale e nel mio ministero abbia particolarmente influito l’esempio di santità e di entusiasmo pastorale di alcuni sacerdoti che ho incontrato nel mio cammino. Peraltro mi sento profondamente debitore verso i miei genitori, soprattutto per i loro sacrifici, e verso alcune persone che mi hanno amorevolmente accompagnato e sostenuto con la loro preghiera nel mio cammino di discernimento.
Prima di entrare in seminario ho avuto modo di fare un’esperienza lavorativa e questa mi è stata di grande aiuto per comprendere la realtà e i problemi del mondo del lavoro. L’ingresso, poi, in Seminario, e precisamente al Collegio Capranica di Roma, dove ho vissuto da vicino la celebrazione del Concilio Vaticano II, ha rappresentato per me l’esperienza determinante nella mia formazione sacerdotale. Anni stupendi, quelli del Concilio! Si viveva nel clima del rinnovamento della Chiesa, della riscoperta della Chiesa come popolo di Dio, Chiesa come comunione e in dialogo con gli uomini del nostro tempo. In quegli anni romani trascorsi al Collegio Capranica ho avuto modo di sperimentare, anche attraverso la conoscenza diretta di alcuni personaggi del Concilio, l’universalità della Chiesa, l’apertura a nuovi orizzonti, la vocazione alla missionarietà.
In seguito, nei primi anni di sacerdozio, durante i quali mi è stato affidato l’incarico dell’insegnamento a Roma (in alcune facoltà pontificie) e nei nostri seminari marchigiani, ho avuto anche la gioia di poter prestare il mio servizio nella formazione dei candidati al sacerdozio in alcuni seminari dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania: è stata, questa, un’esperienza straordinaria che ha lasciato un segno profondo nella ma vita e nel mio ministero.

Quanto sono state importanti, nella sua esperienza di prete, la comunità, il dialogo con gli altri confratelli, il lavoro pastorale con laici impegnati, l’incontro con i fedeli, con la società civile e politica?

Il Concilio Vaticano II ci ha consegnato come visione tipica e fondamentale della Chiesa, quella della Chiesa-comunione, segno e strumento dell’unione degli uomini con Dio e tra di loro. In questa ottica il sacerdote non può vivere senza uno stretto rapporto di corresponsabilità con i confratelli e con i laici all’interno della stessa comunità. Da parte mia posso affermare che il rapporto di dialogo con le varie componenti della comunità ecclesiale mi ha molto arricchito, in qualche modo mi ha insegnato a fare il prete e il vescovo; ugualmente arricchente è stato nella mia esperienza il rapporto con la comunità civile e cioè con le realtà sociali del territorio. In fondo posso riconoscere di non essermi formato da solo, ma anche attraverso gli altri, dai quali ho ricevuto esempi, stimoli ed anche, come è inevitabile, qualche critica, che comunque mi ha aiutato a crescere nella dimensione umana e spirituale.

Il mondo cambia, così come cambiano il senso di appartenenza alla chiesa e l’approccio alla fede, non più scontato. Cosa deve necessariamente cambiare nel servizio sacerdotale, cosa invece rimane nel tempo?

In un mondo che cambia e che presenta sempre nuove sfide alla fede e alla Chiesa, per orientare il cammino pastorale e in particolare per definire i compiti del sevizio sacerdotale non si può fare a meno di una bussola: una bussola sicura, come ricordava San Giovanni Paolo II, ci è offerta dallo stesso Concilio Vaticano II; si deve anche considerare l’insegnamento dei Papi che si sono succeduti; oggi in particolare non possiamo prescindere dall’insegnamento di Papa Francesco in unione con tutti i vescovi della Chiesa. Di fondamentale importanza per la vita e le scelte dei sacerdoti ritengo che sia la formazione permanente (formazione umana, spirituale, intellettuale, pastorale), in particolare la comunione fraterna; a questo riguardo è il nostro il nostro stesso Sinodo Diocesano che raccomanda per i sacerdoti qualche forma di vita comune.

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