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Le serie TV sotto la lente d’ingrandimento di Screenshot

Il troppo streaming ci fa ingrassare? La serialità ci addomestica?

La fortunata serie tv "Lost"

Mi ricordo perfettamente quando i miei genitori smisero di uscire con una strana coppia di amici. Erano simpatici e talvolta irriverenti, ma strani. Questo è sicuro. Capitava spesso che le nostre famiglie s’incontrassero per una pizza il mercoledì sera, o un cinema il giovedì, quando per le donne costava meno. Erano senza dubbio belle serate, tranquille, talvolta pure monotone, ma si faceva per stare insieme, per far quattro chiacchiere sulla società, per ridere un po’ prima di andare a letto presto, perché era pur sempre in mezzo alla settimana, e la mattina dopo… il lavoro chiamava!

Poi da un momento all’altro il nulla. Io ero piccina e non capivo, pensavo che forse c’era stato un litigio, un problema da poco che si sarebbe risolto presto, anche perché Lui qualche volta era, come si dice, “un po’ duro di comprendonio” e non ci sarei rimasta troppo male nel sapere che si era imbronciato, ed anche Lei di certo non nascondeva il suo lato permaloso.

E invece no, le cose non andarono affatto così… sarà stato il 2004, forse il 2005, ed un evento di portata mondiale aveva smontato il piccolo equilibrio settimanale della mia famiglia. Era arrivato Lost, che come una pestilenza medievale aveva raggiunto tanti deboli di spirito e li aveva risucchiati in un vortice letale, risputandoli fuori un po’ strambi e sicuramente stravolti solamente sei stagioni dopo, ehm.. perdonatemi… sei anni dopo, nel 2010.

Certo la colpa non era tutta di Lost e della “strabiliante” (a detta loro…) mitologia che si portava appresso, misteriosi fenomeni soprannaturali, coincidenze, anomalie spazio-temporali.. paradossi ed altre fanta-scemate varie, ma anche di tutti gli altri appuntamenti, diventati da un momento all’altro “imperdibili, che tappezzavano il palinsesto minando le serate di svago della mia famiglia, che giunta a questo punto doveva adeguarsi ai nuovi “impegni” della combriccola.

Che cosa vuol dire “addomesticare?” “E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…”
“Creare dei legami?” “Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altra. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.

Ho voluto sfruttare questi bellissimi passaggi dell’ XXI capitolo de Il Piccolo Principe, non solo per dimostrare la versatilità, confermata da tutti, del racconto di  Saint-Exupéry ma anche per cercare di veicolare il messaggio con le parole più semplici e profonde che la letteratura ci mette a disposizione.
Vi chiedo dunque di aprire le porte della mente alla fantasia, immaginate di essere la Volpe, e proseguite in questo senso accostando il personaggio del Piccolo Principe al ruolo della Serie Televisiva.

Ho assistito personalmente, oramai parecchio tempo fa, ad un focoso litigio tra due miei amici, che per comodità chiameremo Gino e Pino, i quali, come due cervi assaliti da una tempesta ormonale si prendevano a cornate insistendo su quale serie tv avrei io, bella cerbiatta, dovuto guardare in quel periodo. La mia richiesta scatenò l’inferno, Gino difendeva la magnificenza, l’eleganza e gli strabilianti ambienti de Il Trono di Spade, Pino sbuffando e scalpitando urlava cose come “ancora guardi quelle stronzate fantasy, sei proprio una signorina”, e continuava a ripetere che nulla al momento era in grado di superare Breaking Bad. Io scelsi di guardare sia l’una che l’altra e consigliai loro di fare lo stesso. Il risultato fu sorprendente. Entrambi ammisero che la serie tv idolatrata dall’altro era realmente un ottimo prodotto. Con ciò, ecco spiegato il passaggio che dice “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te”. Ed è proprio così che è andata, prima di arrendersi e scendere al compromesso di guardare il prodotto difeso dall’altro, entrambi i miei amici vivevano serenamente pur senza conoscere le vicende dell’una e dell’altra storia. Pino non aveva bisogno de Il Trono di spade, e Gino ripudiava senza conoscere Breaking Bad. Dopo averle seguite, giurarono di non poter evitare di guardarle sino alla fine.

“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”. “Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe. “E’ quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora diversa dalle altre ore” disse la volpe.

Senza alcun dubbio avrete già capito cosa volevo dire: la dipendenza da una serie televisiva è giustificata dalla serialità, grande invenzione di certo non della televisione né tanto meno del Cinema, ma di ben altra matrice. La serialità nasce con la Letteratura, proseguirà poi con i Fumetti e la Radio e ovviamente di conseguenza raggiungerà i mezzi audiovisivi come il grande ed il piccolo schermo.

Facciamo finta che “Il Monco di Piazza Roma” sia il titolo di una brillante fiction di tipo detective story distribuita sul canale x, il martedì alle ore 17, e che già con la prima puntata abbia raggiunto ascolti incredibili. Tutti ne sono tremendamente attratti e non vedono l’ora che arrivi la seconda, ma…. non si sa quando questa verrà trasmessa. Gli spettatori  immaginano possa tornare alle ore 17 del martedì seguente sullo stesso canale e invece, il nulla. Alcuni fortunati riusciranno a vedere la seconda puntata così per caso all’ora di cena di un venerdì aspettando l’inizio del telegiornale, altri  capiteranno sulla terza una domenica mattina alle sei facendo zapping dopo la discoteca, altri ancora ci sbatteranno contro in seconda serata quando la peperonata impedirà loro di addormentarsi… insomma, nessuno riuscirà realmente ad appassionarsi a “Il Monco di Piazza Roma”, e quello che sarebbe potuto essere un potenziale successo di pubblico… dovrà accontentarsi dell’eco raggiunta con la puntata pilota, l’unica vista dai più.

La serie tv di qualità addomestica lo spettatore attraverso i contenuti e la serialità, tanto da fargli credere di non poter fare a meno di continuare a guardarla.
Ma la verità è che ora i ruoli, tra la Volpe e il Piccolo Principe, si sono ribaltati. Non è più l’animaletto ad attendere passivamente l’arrivo del padroncino, ma è il nobile principino a subire l’opportunismo di un’amica che lo sfrutta e lo usa come gli pare e piace per poi abbandonarlo e buttarsi che so… sull’uomo d’affari, sul vanitoso e poi quando si sarà stancata di loro, sarà la volta del pilota e del fiore a tre petali. Tutto ciò perché ora la Volpe, che ricordiamo rappresenta metaforicamente lo spettatore televisivo, ha non solo una sovrabbondanza di “addomesticatori” (serie tv) ma anche un magico strumento che le permette di “viverseli” intensamente, uno dopo l’altro in uno strettissimo lasso di tempo, senza dover subire l’ansia delle attese. Questo magico strumento alla portata della Volpe del 2014 e di noi tutti è lo streaming.

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