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Blow Up: il rapporto tra realtà, apparenza e prevaricazione

Il genio di Michelangelo Antonioni come chiave per analizzare la vita

Blow up

Avete presente quando sentite fortemente il bisogno di pensare a qualcosa ma niente vi sembra più interessante che ascoltare l’estraneo che vi siede accanto? Non so voi, ma a me succede sempre. Questo non fa della mia persona un’impicciona o un invadete, semplicemente la mia fantasia e la mia immaginazione hanno necessità di essere alimentate e da mia esperienza posso affermare che non c’è piatto più prelibato e nutriente che un minestrone di affari degli altri. Ma di altri davvero sconosciuti, non del vicino di casa o del collega d’ufficio, gli altri che intendo io devono essere persone mai viste prima, ininfluenti quanto un quadro senza firma, una lettera anonima, una foto di un paesaggio trovata in un vecchio cassetto scattata non si sa quando, dove e da non si sa chi.


Cosa voleva rappresentare quel pittore? A chi è dedicata la lettera e cosa di quel paesaggio è sembrato tanto bello a chi lo ha voluto immortalare in una fotografia? Non importa, ciò che importa è ciò che noi vogliamo rubare da quella tela, da quel pensiero e da quello scatto. Ciò che suscita in noi e ci fa scavare nell’immaginazione alla ricerca di uno stimolo. Questo e semplicemente questo è ciò che intendo per “farsi gli affari degli altri” e modellarli a nostro piacere e bisogno.

Insomma, ero lì seduta in metropolitana ed affianco a me c’erano due tizi, uno che parlava ed uno che ascoltava. Attratta da un cartello pubblicitario di una ditta di onoranze funebri che informava i più “sfortunati” dello sconto sulle bare ecologiche, non avevo assolutamente fatto caso che i due tizi affianco a me fossero fotografi impegnati in una noiosa disquisizione sull’importanza del loro mestiere.

Ad un certo punto però uno affermò una cosa tanto banale quanto stranamente interessante. Aveva gli occhiali tondi, il berretto a cuffietta e due baffi che gli donavano almeno una decina di anni in più e disse: “ i quadri non rappresentano la realtà, le fotografie si, questo rende unico il nostro lavoro. Unico ed intramontabile”.

Sentendo senza volerlo affermare tale oscenità, mi voltai di scatto e porsi l’orecchio nella giusta direzione per non perdermi neppure una delle altre tesi del geniale omino-cuffietta. Ahimè non ne uscirono di altrettanto “brillanti” ma mi feci bastare questa per stimolare la mia nuova ricerca.

Sillogismi di chissà quale tipo mi fecero associare alla banale tesi del fotografo baffuto, nell’immediato istante in cui pronunciò l’ultima parola del superbo “aforisma”, un’antitesi forse altrettanto banale ma incommensurabilmente personale. Pensai a Blow Up, quindi al pensiero del regista Antonioni e perciò alla sua concezione di realtà sfuggente e cronica mentitrice, che cela alle sue spalle un essenza inconoscibile.

Antonioni si sa, non è un regista da prendere sottogamba, è uno dei nomi del Cinema Italiano più amati e stimati internazionalmente. Il suo esordio nel grande schermo ha segnato la fine del Neorealismo e la nascita di una nuova stagione nella Settimana Arte, poiché scelse di indagare un mondo a lungo rimasto escluso dall’occhio cinematografico, il mondo dell’alienazione borghese e dell’incomunicabilità.

Se Luigi Pirandello seppe insegnarci attraverso la letteratura ed il teatro che ogni realtà è un inganno, Antonioni riuscì a fare altrettanto attraverso film come Blow Up (1966), un’opera filosofica che indaga tematiche come l’impotenza dell’individuo difronte alla manipolazione della realtà, la negazione del potere probatorio della testimonianza oculare e la totale ambiguità del dato percepibile.

La vicenda è tanto semplice quanto ininfluente, tanto che fu rubata e rimodellata dal regista Brian De Palma nel 1981 per renderla più in linea con il proprio personalissimo stile alle Hitchcock.

De Palma nel suo Blow Out utilizza gli strumenti a lui congeniali per inchiodare nella memoria di tutti un film Cult prelibato, fatto di inquadrature d’impatto ricche di tensione, panoramiche di 360 gradi. Tutti trucchi del mestiere che permettono al regista italo-americano di far susseguire l’azione rapida e varia dal punto di vista dei registri di narrazione.

Antonioni di canto suo, non ha alcuna fretta di mostrare i risvolti della vicenda e sfrutta la solita lunghezza e lentezza delle raffinatissime inquadrature e scene povere di dialogo per introdurci nell’intimità del suo protagonista, Thomas, un affascinante fotografo di moda, tipico esponente della cultura Mod londinese degli anni’60, attento al sociale e completamente incapace di comprendere il mondo. L’insoddisfazione del giovane artista lo rende vittima dell’incomunicabilità e quindi della difficoltà di rapportarsi con l’esterno.

Vittima del caso, Thomas diviene testimone inconsapevole di un omicidio, avvenimento del quale diventa cosciente solo nel momento dello sviluppo delle fotografie e del loro blow up, ovvero l’ingrandimento dei particolari. Non informa la polizia e si improvvisa investigatore autonomo, stampa le foto, i dettagli e lascia che sia l’apparenza delle cose a gestire i suoi pensieri, le sue titubanze e le ipotesi.

Ma cosa accade se in un momento di evasione ci si distrae e tutto ciò che confutava la nostra tesi viene scippato e non rimangono tracce alcune di quel delitto?
A differenza del film di De Palma, quello di Antonioni non indossa l’abito da thriller ma si spoglia anzi di qualsiasi maquillage per mostrarsi nella sua autentica essenza di saggio filosofico trattato per fotogrammi.

Il tema indagato in Blow Up è il rapporto tra la realtà e l’apparenza, e il loro rapporto di eterna prevaricazione. Il ruolo preponderante dell’immagine nella nostra epoca rende l’uomo incapace di scinderla dalla rua riproduzione. Thomas perciò vede più di quello che l’occhio umano dovrebbe vedere e ciò viene punito con l’incertezza, componente fondamentale di tutta la filmografia di Antonioni.

Di monumentale impatto ed efficacia la scena finale del film che altro non vuole dimostrarci se non la necessità che l’arte si arrenda alla sua finzione.
Noi sappiamo che sotto l’immagine rivelata ce n’è sempre un’altra più fedele alla realtà, e sotto quest’altra un’altra ancora e di nuovo sotto quest’ultima fino alla vera immagine di quella realtà assoluta e misteriosa che nessuno vedrà mai, o forse fino alla scomposizione di qualsiasi immagine e di qualsiasi realtà” (Michelangelo Antonioni)

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