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A Screenshot il cinema comico che “fa luce” sul nazismo

Si può ridere di una tragedia?

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Una scena del film di Roberto Benigni "La vita è bella"

Quella mattina non feci altro che pensare ad Hitler. Lo ricordo perfettamente. Mi alzai percossa dal martellante jingle della sveglia e mi venne in mente che fino a poco prima stavo sognando Hitler in gonnella fare dipinti lungo la strada, sorrisi.

Ora, per tutelare la mia dignità e la mia credibilità soprattutto, mi sento obbligata a spiegarvi che non è cosa comune che io sogni il Fuhrer di notte (fortunatamente aggiungerei) solo che la sera prima mi ero addormentata guardando un documentario a lui dedicato e ricordo perfettamente che uno storico aveva accennato ad un periodo della sua vita in cui il futuro dittatore della Germania, rimasto orfano e senza mestiere, guadagnava qualche spicciolo dipingendo acquerelli in mezzo alla strada e che un giorno, in cui faceva particolarmente freddo, un ricco ebreo suo cliente si fermò a donargli il cappotto. Mi è venuto in mente un vecchio e noto proverbio: “a fare del bene ci si rimette sempre”.

Continuai con le mie abitudini, preparai la colazione e controllai il telefono, nulla di nuovo, solo l’agenda elettronica che mi ricordava del compleanno di mia cugina. Ecco nuovamente l’uomo dal baffetto nero irrompere nei miei pensieri. Tra le tante cose curiose sentite in quel servizio la sera prima, una che mi aveva particolarmente sorpreso era che i genitori del “Grande Dittatore Antisemita” erano cugini, di secondo grado, ma pur sempre cugini. Ci sarà un motivo se queste cose sono sconsigliate, no?

Bevvi velocemente il caffè che avevo eccessivamente caricato di miele e mi infilai i sandali, ero pronta ad uscire e la mente era perfettamente sgombra da qualsiasi ombra nazista, quando inaspettatamente ad intervenire in mio ostacolo furono le ridondanti campane che invitavano vedove e catechisti alla sacra rimpatriata. Irrefrenabili sillogismi si sguainarono nella mia mente invadendo il campo minato che l’evidentemente indigesto documentario della sera prima aveva impollinato a mia insaputa e “bang”, un nuovo ricordo al sapore di MeinKampf si dispiegò su di me.
Era una signora rossiccia di mezza età, doppiata con una voce che me la faceva ricordare più alla Nonna Granny dei Looney Tunes che ad un’esperta in storia nazista. Era lei la colpevole, me la ricordo perfettamente pronunciare parole come: “Nel periodo di preparazione alla Cresima, Hitler meditò di farsi prete poiché molto affascinato dall’ambiente religioso“. Santo cielo, vi immaginate se si fosse davvero fatto prete? Sarebbe stato un amorevole parroco dedito alla distribuzione della zuppa per poveri o un nuovo malvagissimo Innocenzo III pronto ad avviare una crociata antisemita per salvaguardare il bene spirituale dell’individuo e per la conservazione della Chiesa?

Terminati i vari Din Don Dan, infilai gilet e berretto e uscii, apprezzabilmente desiderosa di aver imprigionato la combriccola di memorie adolfiane nell’appartamento oramai vuoto. Quella mattina ero stata invitata ad un centro sociale, dove uno psicologo ed un cabarettista oramai in pensione avrebbero presidiato ad un circle time sulla risata. Arrivai, contrariamente alle mie abitudini, in super ritardo, ma ero abbastanza tranquilla, ad un convegno del genere non si sarebbero mica arrabbiati no? Mi aspettavo un allegro rimprovero del genere “signorina, l’incontro è iniziato un quarto d’ora fa, ma per questa volta ci rideremo su!“. Al contrario le cose presero una piega totalmente diversa, e quando arrivai, il silenzio più totale regnava nell’intimo circolo di presenti, impegnati più a fissarsi l’un l’altro che a parlare, o a ridere!

Mi sedetti cauta vicino ad un tizio che non si sprecò a darmi il buongiorno, ed io carica di buoni propositi ruppi il ghiaccio chiedendogli come mai nessuno stesse parlando. “Stiamo riflettendo signorina” rispose il tizio con un movimento impercettibile delle labbra e mantenendo lo sguardo fisso su due signori in giacca e cravatta un po’ sudati che poi capii essere i due organizzatori del convegno. “E su cosa state riflettendo, se posso chiedere?” domandai io timorosa di ricevere una non gentile risposta, “Lo psicologo ha chiesto a tutti di pensare e comunicare un tema scottante e drammatico sul quale è possibile ridere, esclusa la morte naturalmente“.
L’omino scorbutico accanto a me non fece in tempo a terminare la spiegazione del quesito in atto che prevedibilmente nella mia testa iniziò a lampeggiare la spia a forma di svastica che attirava ritmicamente la mia attenzione come il rosso led dell’antifurto. La mia voce interiore incominciò a spronarmi scuotendomi le cervella “Dillo tu! Dillo tu! Prima che ti scippino l’idea!” ed io come se la sedia mi avesse trasmesso una pungente scossa elettrica balzai in piedi e affermai a gran voce “Il nazismo!“.

Tutti si voltarono verso di me, io rimasi in piedi ed iniziai a distribuire sorrisi d’imbarazzo verso quelle facce incriminatrici. Sguardi minacciosi e ghigni si propagarono nell’ammuffito seminterrato del bocciodromo adibito a centro sociale. Nessuno parlava, a sentire quella parola le persone stavano reagendo come se avessero udito una bestemmia nel bel mezzo della Comunione. Il gelo più totale. Ero imbarazzata.
Ottimo!“. Giuro che al percepire quell’esclamazione mi sentii come invasa da un calore materno, protettivo. Qualcuno era venuto a salvarmi, e quel qualcuno era proprio lo psicologo che aggiunse poi esempi di comicità legata al nazismo, tra questi naturalmente “Il Grande Dittatore” del mitico Charlie Chaplin, film che risale al 1940 e che si delinea proprio come una fortissima e pungente parodia della dittatura nazista e di Adolf Hitler, con tanto di figure caricaturali che richiamano trasparentemente personalità vicine al Fuhrer, come Bonito Napoloni, nome affidato al personaggio nostrano di Benito Mussolini.

A quel punto come la trama dei miei collant impigliati nei chiodini della vecchia sedia che mi toccò, tutta la situazione iniziò a sciogliersi, ed uno dopo l’altro i più coraggiosi incominciarono a rimuginare nel loro archivio mentale dedicato al cinema comico per pescarci qualcosa di buono da aggiungere ad esempio del tema sollevato. Una ragazza piena di piercing tirò in ballo soddisfatta “La Vita è Bella” di Roberto Benigni (1997), opera strettamente collegata al film prima citato poiché il protagonista Guido, interpretato dal regista, indossava una divisa numerata con la stessa sequenza propria alla divisa di Charlie Chaplin nel suo capolavoro. Una coincidenza assolutamente premeditata.

Fu poi la volta di un’attempata casalinga che ricordò di aver visto da giovane un film di Mel Brooks che parlava di uno spettacolo teatrale su Adolf Hitler che sarebbe dovuto essere un fiasco ma che invece risultò essere uno strabiliante ed impensabile successo a Broadway. Tale commedia brillante, della quale la signora non ricordava il titolo è sicuramente “Per favore non toccate le vecchiette“, opera prima del Mel Brooks regista che risale al 1968. Di questo film fu fatto il remake una decina di anni fa da Susan Stroman, perfettamente guidata da Brooks che ne fu anche produttore e sceneggiatore. Il titolo di quest’ultimo film è “The Producers – Una gaia commedia neonazista“, definita “gaia” perché l’attore chiamato ad interpretare lo spietato Adolf nello spettacolo teatrale all’interno del film era Gay.

Accanto a me, oltre al disadattato tizio che continuò a non proferire parola per tutto il tempo, c’era anche un quindicenne, sorprendentemente non tappezzato da bombe ad orologeria camuffate da brufoli, il quale riuscì ad attirare l’attenzione di tutti raccontando di aver visto non molto tempo fa un certo film ispirato alla leggenda degli ufo nazisti, ambientato intorno al 2018 che narrava di alcuni seguaci di Hitler che si erano nascosti sulla luna dopo la sconfitta della seconda Guerra mondiale, e lì avevano costruito una base chiamata Swastika, e una flotta di dischi volanti per conquistare la terra. Se dovesse interessarvi, la commedia fantascientifica di cui parlava il giovanotto era “IronSky” (2012) di Timo Vuorensola.

La discussione prese finalmente un’ottima piega, la soddisfazione di trovare un titolo prima degli altri ci riempiva tutti di esilarante e sana competitività. Le persone cercavano di trovare un nome ai loro ricordi di giovinezza interpellando il coetaneo a poche sedie di distanza, e così vennero fuori le commedie più impensabili che avevano come oggetto il nazismo, tra queste “Gli Eroi di Hogan” (serie televisiva trasmessa in Italia negli anni’80), “Zio Adolfo-In arte Fuhrer” (1978), diretto da Castellano e Pipolo, con un improbabile Adriano Celentano impegnato ad interpretare due gemelli, uno pro e uno contro Hitler, quindi un coraggioso “Vogliamo Vivere!” (1942) di Ernest Lubitsch, “Sturmtruppen” (1976) con Cochi e Renato ed altri comici italiani, tratto dalla serie a fumetti omonima firmata da Bonvi. Poi ancora il più recente “Mein Fuhrer – La Veramente vera verità” su Adolf Hitler (2007), un film tedesco diretto dallo svizzero Dani Levy che ci presenta Hitler come un uomo stanco depresso e demotivato che non riesce più a fare presa nel popolo-pubblico sul quale ha sempre avuto un influentissimo potere persuasivo. Ad aggiungersi è pure uno dei pochi non successi di Peter Sellers intitolato “Soffici letti, dure battaglie” (1973), seguito dal tarantiniano “Bastardi senza gloria” in cui Hitler e i suoi seguaci muoiono crivellati dai proiettili e bruciati dalle fiamme.

Moltissimi i film comici che sfruttano la tematica del nazismo per fare dell’umorismo, un approccio questo che non vuole farsi beffa delle vittime, ma vuole anzi invitare all’elaborazione razionale e successiva alla risata, una riflessione che porta ad un sentimento di identificazione e compassione, perché come disse Radu Mihăileanu, regista del meraviglioso Train De Vie, “una commedia può essere più tragica della tragedia stessa”.

Giulia Betti
Pubblicato Domenica 12 ottobre, 2014 
alle ore 12:04
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