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Idv Senigallia replica a Perini (Gruppo Misto) sulle unioni civili

Canti: "L'art. 29 della Costituzione non istituisce, ma riconosce la famiglia"

Stefano Canti

Ci sorprende abbastanza la posizione espressa dal Consigliere comunale di opposizione del Gruppo Misto sul tema dei diritti civili e riguardante il “Registro comunale delle Unioni Civili” l’8 maggio all’esame della Commissione consiliare.Ci sorprende perché un conto è sollevare dubbi del diritto, un altro è cadere nella propaganda.

Che cosa dice l’art. 29 della Costituzione?
L’art. 29 dice: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio“.

Cioè, la Costituzione riconosce l’importanza della famiglia come società primigenia, in cui si svolge gran parte della personalità dell’essere umano.
L’articolo in esame è chiaro, quindi, nel precisare che la Repubblica non istituisce la famiglia, ma la riconosce, ammettendone, così, il carattere originario, non derivante dallo Stato.

In questo senso la Costituzione Italiana definisce la famiglia come “società naturale”.
In altre parole, la Costituzione non definisce la famiglia.

Nel 1947 i nostri padri fondatori scelsero di qualificare la famiglia con l’aggettivo “naturale” proprio allo scopo d’assecondarne gli sviluppi, senza frenare il motore della storia.

Sicché in ultimo, come ha detto il costituzionalista Michele Ainis a commento della sentenza 138/10 della Corte costituzionale riguardante i diritti delle coppie di fatto e del matrimonio gay, “la Corte Costituzionale, dando una grande chance alla politica di riprendersi la sua dignità persa sul tema dei diritti civili, si è chiesta “a che punto è la nostra storia?” e ha dichiarato di non essere in grado di estendere con una sua sentenza la nozione di matrimonio alle coppie gay (alle coppie di fatto), ma che il parlamento potrebbe (e dovrebbe) legiferare per tutelare le medesime coppie.

La Corte, rispettando la suddivisione dei poteri dello Stato, ha disposto che sia il sistema politico a dover legiferare nella direzione del riconoscimento delle “coppie di fatto”, e come da sentenza verso il matrimonio gay. Già da questi elementi si capisce che sbandierare l’anticostituzionalità del “Registro comunale delle Unioni civili” è una tesi inconsistente e desueta.

Nell’odg presentato e sottoposto all’esame della Commissione la Costituzione è rispettata, primo perché non va in contrasto con il matrimonio (anzi, a nostro avviso rafforzandolo con il diritto “di costruire una famiglia” che è in sé nel Registro comunale delle Unioni civili), secondo riconosce l’importanza della famiglia.

Spieghiamoci meglio.
Andiamo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ormai giuridicamente vincolante dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

L‘art. 21 mette in evidenza il modo in cui ciascuno costruisce la propria personalità anche per ciò che concerne i profili sessuali e affettivi, essi non possono mai divenire causa di discriminazione. L’attenzione poi dev’essere rivolta all’articolo 9, che riguarda in generale le unioni ed è uno dei più innovativi dell’intera Carta (su queste questioni vedere Stefano Rodotà).

Qui vi è una distinzione, quella tra “il diritto di sposarsi” e quello “di costruire una famiglia“, introdotta proprio per consentire la costituzione legale di unioni distinte da quelle matrimoniali, comprese quelle tra persone dello stesso sesso (questo, a nostro avviso, il “tabù” di chi tuona contro il Registro delle Unioni Civili).

Nella Carta si riscontrano due diritti distinti, quello di sposarsi e quello di costruirsi una famiglia. Conclusione: “nel quadro costituzionale europeo, al quale l’Italia deve riferirsi, esistono ormai due categorie di unioni destinate a regolare i rapporti di vita tra le persone, che hanno analoga rilevanza giuridica, e dunque medesima dignità“.

Non è più possibile sostenere che esiste un principio riconosciuto, quello del matrimonio tradizionale, e una eccezione (eventualmente) tollerata, quella delle unioni diversamente regolate, comprese quelle omosessuali.

Ci auguriamo che la politica e la nostra politica cittadina colga e meriti l’omaggio della Corte Costituzionale dato nel 2010 con la sentenza 138, ancora non colto e non meritato, e di non leggere più articoli dai toni accesi che più che unire dividono.

Il Rapporto Eurispes dichiara che soltanto un italiano su 10 considera l’omosessualità immorale; e il 61% è favorevole ai matrimoni gay o alle unioni civili.

Noi dell‘Idv Senigallia cerchiamo di rispondere alla domanda della Consulta: “A che punto è la nostra storia?“.

di Stefano Canti

Commenti
Solo un commento
O. Manni
Paul Manoni 2012-05-08 05:56:25
Era anche ora che qualcuno si prendesse la briga di rispondere alle inconsistenti esternazioni filo clericali/papaline/​cielline/opusiane, di Perini sul registro delle unioni civili prossimo alla discussione in commissione.

Parlando da totale "esterno" alla religione, fieramente Agnostico e sbattezzato però, trovo piuttosto sbalorditive le considerazioni e l'impegno con cui il soggetto in questione si sia adoperato per sbarrare la strada a questa civilissima iniziativa. Tanto che mi costringe ad una riflessione non di merito, sulla sua personalissima COERENZA.

Perchè dal punto di vista Cattolico, nella lotta di Perini contro il registro non c'e' davvero nulla di nuovo. Segue semplicemente e coerentemente quelle che sono le direttive impartite da "sacra romana chiesa", cioè non ha fatto altro che riprendere quanto sostiene il "Catechismo" (http://www.vatican.va/​archive/catechism_it/​p3s2c2a6_it.htm) in materia di omosessualità (la definisce una “grave depravazione”, e che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”), e pertanto va combattuta strenuamente e limitata a qualsiasi costo.

Il Perini "pecorella da gregge con tanto di pastori" quindi, sarebbe quantomeno da elogiare e lodare per la sua coerenza con le proprie convinzioni, che puntualmente e sistematicamente va ad applicare.

Il problema a mio modesto avviso, e' dunque di tutti coloro che si dichiarano cattolici, gay e le lesbiche compresi, che continuano a volersi dichiarare cattolici e, anzi, pretendono di riscrivere il magistero ecclesiastico secondo i propri desiderata mostrando infatti di non conoscere né la dottrina, né il modo in cui si è formata, né gli stretti pertugi attraverso cui è possibile riformarla. Che, se non si fosse ancora capito, sono peraltro riservati ai soli papi.

Seguendo questo ragionamento, ripeto, non di merito, va a finire che quelli "storti" da un punto di vista religioso, sono proprio i giovani politici bravi ed attivi come te Stefano, e come tanti altri, che si ritrovano, da un lato a voler far proprio e ad applicare il Principio di Laicità nello svolgimento del loro lavoro in politica (encomiabile per chi ci riesce!), e dall'altro a dovere fare i conti con la propria relgione, e quindi con la propria coscienza (seppur suggerita da terzi).

Concludo con una semplice domanda, visto che vedo moltissimi personaggi impegnati nella politica, a livello locale o meno, taggati in questa nota, e visto che stasera la discussione in commissione sul registro impone una riflessione laica (tutt'altro che economica o giurisdizionale come vorrebbe Perini):

Per un cittadino impegnato in politica, e' più ragionevole legiferare in modo Laico e scevro da dogmi ed etiche imposte della propria religione (qualsiasi essa sia), a favore di una società inevitabilmente composta da individui con diversi orientamenti di pensiero, oppure e' obbligo per ogni politico farsi carico dell'applicazione della morale della sua personale religione, nelle leggi che riguardano tutta l'intera società?

Per me la risposta a questa domanda e' sempre stata piuttosto scontata...Evidentemente, non alla maggioranza dei politici italiani.
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