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Terrorismo e anni di piombo: Senigallia Notizie intervista Maria Vittoria Pichi

Arrestata e innocente: nel libro "Come una lama" l'autrice racconta i suoi cento giorni di carcere

Intervista a Maria Vittoria Pichi

Incontro Maria Vittoria Pichi autrice del libro “Come una lama” nei sotterranei della Redazione di Senigallia Notizie. La conosco da poco. Maria Vittoria è una donna timida e simpatica, che non sapeva di essere un’ottima scrittrice. Il libro “Come una Lama” è la sua storia e la storia di tanti appartenuti alla sua generazione.

Il 28 dicembre 1981 Maria Vittoria viene arrestata nell’ambito delle indagini sul sequestro del generale americano James Lee Dozier  rivendicato dalle Brigate Rosse. Il generale è un pezzo grosso. Comanda le Forze Nato nel Sud Europa.
Il suo rapimento uno schiaffo in piena faccia allo Stato Italiano, agli Usa e alla NATO.
E’ la prima volta che un generale americano viene rapito. Neanche in Vietnam è mai successo. Da Washington arrivano pressioni molto forti e in tutta Italia partono retate e perquisizioni negli ambienti politici dell’estrema sinistra.
Maria Vittoria Pichi originaria di Senigallia, in quel periodo vive a Padova viene arrestata assieme a Paolo, il suo compagno di allora.

Passerà cento giorni in cella e poi verrà liberata e prosciolta da ogni accusa nei successivi processi.
Questo libro è la storia di quei cento giorni, dei dieci anni prima e dei trenta successivi.
Nel Giugno del 2009, dopo ventisette anni di silenzio, Maria Vittoria, Mavi per gli amici, decide di guardarsi dentro per trascrivere la sua storia. I primi a leggerlo sono stati una cerchia ristretta di parenti e amici che, per reciproca ritrosia, non avevano mai affrontato l’argomento compiutamente.

D: Chi è Maria Vittoria Pichi?

R: Sono una farmacista proveniente da una famiglia di farmacisti e conduco una vita normale. Sono madre di due figli, lavoro e mi interesso di tutto ciò che mi circonda. Allora vivevo a Padova da molti anni e ci sarei rimasta, perché là avevo le amicizie e gli affetti, stavo molto bene. Per me Padova fu una scelta di vita. Fui costretta a tornare a Senigallia perché mio padre si ammalò gravemente e lo aspettava una lunga degenza in ospedale. Dovetti prendermi la responsabilità di gestire la farmacia. Da allora vivo qui.

D: I punti centrali di questo libro sono quattro: storia carceraria, storia giudiziaria, storia politica e storia d’amore con Paolo, ma inevitabilmente il libro parte e si focalizza soprattutto sulla vicenda carceraria.

R: Ho scritto questo libro come testimonianza e quasi come terapia, anche per far capire la mia vicenda a tutti coloro – e sono tanti – che non la conoscono o la conoscono in parte. Liberarmi di un peso e far conoscere la mia storia. Questo il mio obiettivo. La vita in carcere non può che essere un elemento fondante di tutta la narrazione dal momento che il carcere ha segnato i miei anni futuri e tutta la mia vita successiva.

D: Vorrei chiederti perché il libro inizia con il racconto di te dentro la cella di sicurezza e non dall’antefatto che arriva invece nel capitolo successivo e che spiega un po’ l’atmosfera e la vita nell’Italia degli anni ’70; i famigerati “anni di piombo“.

Copertina del libro "Come una lama"R: La definizione “anni di piombo” la trovo inesatta. In genere si parla di anni di piombo per riferirsi al piombo inviato unilateralmente dai terroristi “di sinistra” verso le loro vittime, ma c’è un altro piombo di cui spesso non si parla: è quello che lo Stato ha riservato ai civili e a gente come noi appartenente ad organizzazioni di ogni tipo, solo per il fatto di rappresentare una certa area politica. Anche questo è piombo. Inizio il libro dalla cella di sicurezza in cui mi hanno portato perché, come ho detto prima, quello è il macigno più grosso e doloroso. Me lo son voluta togliere subito. Ho voluto “tirar fuori il rospo” dal principio.

D: Un’altra domanda che chi ha letto il libro si è posto è la seguente. Tu e il tuo compagno di allora, Paolo, veniste arrestati con il pretesto di avere in macchina alcuni volantini di organizzazioni terroristiche o para-terroristiche. Che tipo di volantini erano? Erano davvero così compromettenti?

R: Erano volantini piuttosto pesanti, ma erano volantini che si distribuivano normalmente in tutte le assemblee. Il loro possesso non significava essere parte di quelle formazioni. Infatti, al processo fummo tutti assolti. Quei fogli erano un pretesto per trovare il prima possibile qualche presunto colpevole da mettere sulla graticola.

D: Il libro tratta anche dei rapporti intercorsi all’interno del carcere.In questa parte parli della paura di desiderare qualcosa che ti trafigge “come una lama” e racconti l’aneddoto di quando girando per Venezia tempo prima, pensasti: “Un giorno mi piacerebbe dormire in questa città“. Il destino in seguito ha esaudito il tuo desiderio, ma hai passato la tua prima notte a Venezia dal chiuso di una cella. Da quel momento parli di come per te, negli anni a venire, sia stato sempre difficile, quasi una colpa, desiderare qualcosa.
R: E’ una cosa che ti segna a livello inconscio. Non potendo capire il perché della reclusione, resta la paura di desiderare qualcosa, il continuo sentirsi in colpa per qualcosa. Un riflesso incondizionato che ti fa muovere e pensare sempre e comunque con circospezione. Nasce il desiderio e la lama ti trapassa senza che tu neanche te ne accorga. E non puoi farci niente.

D: In un capitolo successivo racconti della tua vita a Padova negli anni precedenti. Vita sociale e vita politica. Tu eri, come dici nel libro, “Un cane sciolto” e simpatizzavi per un gruppo dove i cani sciolti come te si incontravano e discutevano: “il movimento“. Hai mai pensato che questo tipo di militanza ti potesse un giorno creare dei problemi come quelli che hai poi dovuto affrontare?

R: Non mi sarei mai mossa da Padova come ti dicevo poco fa, non perché Senigallia mi stesse stretta, ma in quella città in cui avevo frequentato l’università c’era un fermento culturale e politico vivissimo che mi si confaceva. Io ero appunto un “cane sciolto” e appartenevo al cosiddetto “movimento” che era un non-gruppo che riuniva tutti coloro che come me non trovavano la loro rappresentazione politica altrove. Chiaramente fare attività politica di un certo tipo in quegli anni presupponeva un’assunzione di rischi e di responsabilità che uno metteva in conto, anche se faceva tutto nella legalità. Erano anni difficili: decine di persone erano finite “dentro“. C’era anche chi era finito dietro le sbarre semplicemente perché aveva “rubato” il fidanzato alla persona sbagliata. Sapevo che rischiavo, quello che è successo dopo però ha superato anche le peggiori aspettative.

D: Senigallia in quel tempo era una piccola città e il tuo arresto fece molto scalpore.
La fama di”terrorista“, di “terrorista raccomandata” liberata grazie ai buoni uffici di tuo padre o peggio di “cogliona che si è fatta incastrare” sono marchi che ti sono rimasti attaccati addosso, dici nel libro.
Il tempo è stato galantuomo riducendone il peso o il macigno che hai dovuto portare sulle spalle è stato pesante in egual misura lungo tutti questi anni?

R: Per Senigallia io sono rimasta sempre la terrorista. Tutti si ricordavano i titoli roboanti dell’arresto, ma a nessuno erano rimasti impressi i titoli di coda della liberazione e del proscioglimento. Questo libro serve anche a questo, a dire a tutti “questa è la mia storia“. Ognuno ora ha la possibilità di sapere quel che è successo.
Negli anni, amici e conoscenti mi hanno sempre segnalato commenti di persone che mi marchiavano come “Terrorista“: posso dire però che nessuno me lo ha mai detto direttamente, l’ho saputo sempre per interposta persona.
Anche i miei genitori, pur essendomi stati sempre molto vicini, hanno sempre abitato a Senigallia e hanno subito, anche loro incolpevolmente, gli strascichi e i colpi di scena di questa storia.

D: Non ci sarebbe questo libro senza la storia d’amore con Paolo…

R: Con Paolo ci fu una grande storia d’amore che, come spesso accade, una volta finita non è più storia d’amore, ma non è nemmeno amicizia. Siamo rimasti sempre in contatto per tutti gli anni a venire e ci siamo voluti bene di un affetto vero. Non so come sarebbe andata se non ci fossimo incontrati. Di certo la mia vita non avrebbe comunque differito molto da quella che è stata.

D: Una domanda politica. Terrorismo nero e terrorismo rosso. Il coinvolgimento di apparati deviati dello Stato nelle stragi “nere” è ormai cosa certa. Secondo te questi apparati influenzarono o furono coinvolti anche nei fatti criminali imputabili al terrorismo “rosso“? Per quanto riguarda te invece, hai continuato a fare politica? Hai mantenuto l’orientamento politico e le idee di allora?

R: Non ho mai creduto né alle teorie del complotto, né all’esistenza di un grande burattinaio che governava tutto. A destra, come hai detto tu, queste teorie sono state comprovate dalla storia. A sinistra invece io credo che lo Stato non si sia mai infiltrato; può aver ecceduto nella repressione e quindi nella caccia al colpevole a tutti i costi, che è comunque inaccettabile, ma se è finita come è finita, credo si sia trattato soprattutto di errori dei leader di allora. Ho continuato a fare politica nella vita di tutti i giorni, nel mio modo di agire e di vivere. Non rinnego nulla del mio passato, le mie idee di oggi sono esattamente quelle di quei tempi.

D: Tu e Senigallia nel corso degli anni e oggi. Com’è il rapporto con la città, con la sua gente e con le istituzioni?

R: Mi sento senigalliese e di Senigallia perché comunque in questa città ci vivo. Penso che comunque l’uscita di questo libro mi potrà dare un respiro diverso. Prima non sapevo mai chi incontravo e cosa pensasse.
Ora e mi ripeto, c’è una mia testimonianza che mi fa stare più tranquilla anche nel confronto con gli altri. Chi vuol sapere cosa successe sa come informarsi.

D: Tu e la giustizia. Il senso di impotenza, verso il carcere ma anche verso le istituzioni, attanaglia il lettore da subito. Sei stata scagionata da tutte le accuse con formula piena, questo libro serve anche a farti “giustizia” e a toglierti di dosso il marchio di terrorista? E nella giustizia si riesce a credere ancora?

Foto di Maria Vittoria Pichi e del suo compagno PaoloR: C’è rimasto un senso di diffidenza nei confronti della giustizia perché certe vicende, che conoscevo solo per sentito dire, le ho vissute sulla mia pelle. Ma la mia paura più grande, la mia diffidenza più grande è che le situazioni, anche a distanza di anni e anche in presenza di una maggiore condivisione delle informazioni, vengono riproposte e si ripresentano. Ecco allora che arrestano i NoTav e magari tra qualche giorno verranno liberati e si saprà che non c’entravano nulla. Ecco allora che vengono arrestate persone per gli scontri di Roma dello scorso dicembre e tra qualche settimana si verrà a sapere che neanche loro c’entravano niente.

L’altra sera in televisione, su “Chi l’ha visto“, è passato un servizio sul “Professor De Tormentis“, un poliziotto che negli anni ’70 usava la tortura per estorcere confessioni a brigatisti, terroristi o presunti tali usando tecniche da regime sudamericano. Intervenne anche durante il sequestro Dozier, ma non venne mai da noi e quindi questo mi fa pensare che tutti fossero ben consapevoli della nostra innocenza. Questo, anche a distanza di anni, mi sembra la cosa più abominevole, per il semplice motivo che il nostro arresto fu pianificato pur sapendo che non c’entravamo nulla e i giorni, i mesi e gli anni persi nessuno me li può restituire.

Saluto Maria Vittoria Pichi e il suo sorriso solare, come quello della foto di copertina, che poi non è una foto, ma sono tre. E’ una di quelle foto che ognuno di noi ha fatto nei distributori automatici di fototessere e ritrae Mavi e Paolo sorridenti e spensierati, dentro quella cabina in una qualche via di Padova o di chissà dove. La saluto dicendole che il suo libro è bellissimo e che, come era nelle sue intenzioni mi racconta cose che conoscevo solo per sentito dire nei discorsi da bar e il “sentito dire” è risultato il contrario di quello che ho letto nelle pagine di “Come una lama“. Come prevedevo.

Maria Vittoria Pichi presenterà il suo libro domenica 19 febbraio al Circolo Arci A.Jacoppini di Roncitelli assieme a Leo Badioli, anche lui testimone e memoria storica di quegli anni.
Intervenite numerosi.

Commenti
Ci sono 2 commenti
alberto baldoni 2012-02-17 16:16:17
lei è l ennesima vittima di chi crede in un ideale politico puro , che sia di sinistra o di destra non fa differenza quando serve del grasso per ungere gli ingranaggi della giustizia a tutti i costi . auguro alla signora picchi di raggiungere la tranquillità e la serenità che merita ma soprattutto di non essere più offesa dalla cattiveria delle persone che l hanno giudicata finora.
Nomevero 2012-03-08 21:14:38
Ciao Mavi, ero del tuo anno a Farmacia e mi ricordo di te e dei tuoi occhiali. E dei compagni di corso troppo disimpegnati. E delle sere in osteria e nelle case , del parlare, discutere , e Piazza dei Signori, il Cinema1, ed il Rex . Avevo l'R4 ed una vecchia moto guzzi bianca e rossa. E Padova era viva.
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